Veglia pasquale nella notte santa

Gesù non è un personaggio del passato. Egli vive, e come vivente, liturgicamente si fa continuamente presente e operante, cammina con noi fraternamente, ci chiama a seguire Lui, il vivente, e a raggiungere così anche noi il di più  della vita nell’amore

di Mons. Gino Oliosi
“Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. E’ risorto, non è qui” (Mc 16,6). Così il messaggero di Dio, vestito di luce, parla alle donne che cercano il corpo di Gesù nella tomba. Ma la stessa cosa dice l’evangelista in questa notte santa anche a noi convenuti comunitariamente e a ciascuno di noi: Gesù non è un personaggio del passato. Egli vive oggi come
storicamente si è rivelato allora, e come vivente cammina innanzi a noi; ci chiama a seguire ad assimilarci a Lui, uomo perfetto, il vivente, e a trovare così anche noi il di più eterno della vita dell’anima e del corpo nell’amore.
“E’ risorto … Non è qui”. Quando Gesù per la prima volta aveva parlato ai discepoli della croce e della risurrezione, essi, scendendo dal monte della Trasfigurazione, si domandavano che cosa volesse dire “risuscitare dai morti” (Mc 9,10). A Pasqua ci rallegriamo perché Cristo non è rimasto nel sepolcro, il suo corpo non ha visto la corruzione; appartiene al mondo dei viventi, non a quello dei morti, come avverrà per noi, per me; ci rallegriamo perché Egli è –come proclamiamo nel rito del Cero pasquale – l’Alfa e al contempo l’Omega, esiste quindi non soltanto ieri, ma oggi e per l’eternità cioè fuori del tempo e dello spazio come Dio (Eb 13,8). Ma in qualche modo la risurrezione è collocata talmente al di fuori del nostro orizzonte, così al di fuori di tutte le nostre esperienze che, ritornando in noi stessi, ci troviamo a proseguire la disputa dei discepoli: In che cosa consiste propriamente il “risuscitare” che non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena come Lazzaro? Che cosa significa allora per noi? Per il mondo e la storia nel suo insieme? Un teologo tedesco disse una volta con ironia che il miracolo di un cadavere rianimato – se questo era davvero avvenuto, cosa che lui non credeva – sarebbe in fin dei conti irrilevante perché, appunto, non riguarderebbe noi e non avrebbe senso il suo corpo cioè la Chiesa. In effetti, se soltanto un qualcuno una volta fosse stato rianimato, e null’altro, in che modo questo dovrebbe riguardare noi? Ma la risurrezione di Cristo è un fatto avvenuto nella storia di cui gli Apostoli sono stati testimoni e non certo creatori. Nello stesso tempo essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece storicamente la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo. Evidentemente ci si può credere o non credere non dando senso alla propria vita.
La disputa, avviata con i discepoli, comprenderebbe quindi le seguenti domande: Che cosa lì è successo? Che cosa significa questo per noi, per il mondo nel suo insieme e per me personalmente tanto che senza di essa non avrebbe senso la mia, la nostra vita? Innanzitutto: che cosa è successo? Gesù non è più nel sepolcro. Proprio Lui morto e sepolto è in una vita tutta nuova. Ma come è potuto avvenire  questo? Quali forze vi hanno operato? E’ decisivo che quest’uomo Gesù non fosse solo, non fosse un Io chiuso in se stesso. Egli era una cosa sola con il Dio vivente, unito a Lui talmente da formare con Lui un’unica persona in un volto umano: il Figlio del Padre nello Spirito Santo: unico l’essere divino che sussiste in tre persone. Egli si trovava, per così dire, in un abbraccio con Colui che è la vita stessa, un abbraccio non solo emotivo, ma che comprendeva e penetrava il suo essere. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato storicamente una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, una nuova creazione che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé.
E’ chiaro che questo avvenimento non è un qualche miracolo del passato il cui accadimento potrebbe essere per noi in fondo indifferente. E’ un salto di qualità nella storia dell’”evoluzione” e della vita in genere verso una nuova vita futura, verso un mondo nuovo che, partendo da Cristo, già penetra continuamente in questo nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé. Ma come avviene questo? Come può questo avvenimento arrivare effettivamente a me e attrarre la mia vita verso di sé e verso l’alto, verso il di più di una meta così grande da attrarre il presente non sempre facile? La  risposta, in un primo momento sorprendente ma del tutto reale, è: tale avvenimento viene a me mediante la fede e il Battesimo. Per questo il Battesimo, da ricevere o da rivivere, fa parte della  Veglia pasquale. Il Battesimo significa proprio questo, che non è in questione  un evento passato, ma  che  un salto di qualità della storia universale viene a me afferrandomi per attrarmi. Il Battesimo è una cosa ben diversa da un atto di socializzazione ecclesiale, da un rito un po’ fuori moda e complicato per accogliere le persone nella Chiesa. E’ anche più di una semplice lavanda, di una specie di purificazione e abbellimento dell’anima. E’ realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una nuova vita, unica risposta agli interrogativi fondamentali: da dove vengo, verso chi, sono destinato, c’è una liberazione al male che ho compiuto, c’è un al di là anche del corpo?
Come possiamo comprenderlo? Penso che ciò che avviene nel Battesimo si chiarisca per noi più facilmente, se guardiamo alla parte finale della piccola autobiografia spirituale, che san Paolo ci ha donato nella sua Lettera ai Galati. Essa si conclude con le parole che contengono anche il nucleo di questa biografia: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”  (Gal 2,20). Vivo, ma non sono più io. L’io stesso, la essenziale identità dell’uomo – di quest’uomo, Paolo –è stata cambiata. Egli esiste ancora e non esiste più. Ha attraversato un “non” e si trova continuamente in questo “non”: Io, ma “non” più io. Paolo con queste parole non descrive una qualche esperienza mistica, che forse poteva essergli stata donata e che, semmai, potrebbe interessare noi dal punto di vista storico. No, questa frase è l’espressione di ciò che è avvenuto nel Battesimo. Il mio proprio io viene tolto (morte) e viene inserito in un nuovo soggetto più grande (risorto). Allora il mio io c’è di nuovo, ma appunto trasformato, dissodato, aperto mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Paolo ci spiega la stessa cosa ancora una volta sotto un altro aspetto quando, nel terzo capitolo della Lettera ai Galati, parla della “promessa” dicendo che essa è stata data al singolare – a uno solo: a Cristo. Egli solo porta in sé tutta la “promessa”. Ma che cosa succede allora con noi? Voi siete diventati uno in Cristo, risponde Paolo (Gal 3,28). Non una cosa sola, ma uno, un unico, un unico soggetto nuovo. Questa liberazione dal nostro io, dal suo isolamento, dal farsi della libertà individuale un valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare, questo trovarsi in un nuovo soggetto è un trovarsi nella vastità di Dio creatore e redentore, un essere  trascinati in una vita che è uscita già ora dal contesto del “muori e divieni”. La grande esplosione della risurrezione ci ha afferrati nel Battesimo per attrarci. Così siamo associati ad una nuova dimensione della vita nella quale, in mezzo a tribolazioni del nostro tempo, siamo già in qualche modo introdotti. Vivere la propria vita come un continuo entrare in questo spazio aperto di amore: è questo il significato dell’essere battezzato, dell’essere cristiano. E’ questa la gioia della Veglia pasquale. La risurrezione non è passata, la risurrezione ci ha raggiunti ed afferrati. Ad essa, cioè al Signore risorto, ci aggrappiamo e sappiamo che Lui ci tiene saldamente anche quando le nostre mani si indeboliscono. Ci aggrappiamo alla sua mano, e così teniamo le mani anche gli uni degli altri, diventiamo un unico soggetto, non soltanto una cosa sola. Io, ma non più io: è questa la formula dell’esistenza cristiana nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro il tempo. Io, ma non più io: se viviamo in questo modo, trasformiamo il mondo. E’ la formula di contrasto con tutte le ideologie della violenza e il programma che s’oppone alla corruzione ed all’aspirazione al potere e al possesso. ”Io vivo e voi vivrete”, dice Gesù nel Vangelo di Giovanni (14,19) ai suoi discepoli, cioè a noi. Noi vivremo mediante la comunione esistenziale con Lui, mediante l’essere inseriti in Lui che è la vita stessa. La vita eterna, l’immortalità  beata non l’abbiamo da noi stessi e non l’abbiamo in noi stessi, ma invece mediante la relazione – mediante la comunione esistenziale con Colui che è la Verità e l’Amore e quindi è eterno, è Dio stesso. La semplice indistruttibilità dell’anima da sola non potrebbe dare un senso a una vita eterna, non potrebbe renderla una vita vera. La vita ci viene dall’essere amati da Colui che è la Vita; ci viene dal vivere-con e dall’amare-con Lui. Io, ma non più io: è questa la via della croce, la via che “incrocia” un’esistenza rinchiusa solamente nell’io, aprendo proprio così la strada alla gioia vera e duratura.
Così possiamo, pieni di gioia, insieme con la Chiesa cantare nell’Exsultet: “esulti il coro degli angeli …Gioisca la terra”. La risurrezione è un avvenimento cosmico, che comprende cielo e terra e li associa l’uno all’altra. E ancora con lExsultet possiamo proclamare al Padre, alla Madre Maria pure viva in anima e corpo: “Cristo, tuo figlio…risuscitato dai morti, fa risplendere negli uomini, in noi, in me la sua luce serena”. 

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