Domenica XXXIII anno B

Poco importa se la fine del mondo, che senz'altro avverrà, è vicina o lontana: occorre essere sempre pronti alla venuta del Signore e nell'attesa sempre intenti a progredire nell'amore
di Mons. Gino Oliosi
Ci avviciniamo alla fine dell'anno liturgico; per questo la Chiesa ci fa leggere testi che sono in relazione con la distruzione di Gerusalemme e con la fine non solo degli ultimi tempi, che stiamo vivendo, ma con il compimento della storia, la fine del mondo.
Nel Vangelo il discorso di Gesù narrativamente prende le mosse dalla domanda di un discepolo che resta ammirato di fronte alla magnifica costruzione del tempio di Gerusalemme.
Il re Erode il grande lo aveva fatto ricostruire. Esso era veramente una costruzione impressionante.
Gesù risponde a questa domanda con una profezia tremenda: "Vedi queste grandi costruzioni? Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta". I discepoli allora chiedono precisazioni, e Gesù fa un lungo discorso nel quale la fine di Gerusalemme diventa anche la figura anticipata della fine del mondo. Tuttavia in questo discorso non è possibile distinguere bene ciò che riguarda la fine di Gerusalemme da ciò che riguarda la fine del mondo. Gesù vuol mettere in guardia i discepoli dalla mancanza di vigilanza nella carità, dicendo che occorre essere sempre attenti e vigilanti nell'amore. Poco importa se la fine del mondo è vicina o lontana: occorre essere sempre in attesa della venuta del Signore perché con il distacco dell'anima dal corpo alla morte finisce lo spazio e il tempo e ogni possibilità personale.
Tutto questo discorso è nella redazione di Marco (Mc 13,24-32), ma si trova anche, con alcune varianti, in Matteo e Luca, ed è probabilmente il testo più difficile dei Vangeli. Tale difficoltà deriva sia dal contenuto sia dal linguaggio: si parla infatti di un avvenire che supera le nostre categorie spazio-temporali, e per questo Gesù utilizza immagini e parole prese dall'Antico Testamento, ma soprattutto inserisce un nuovo centro, che è Lui stesso, il mistero della sua persona e della sua morte e risurrezione. Anche il brano odierno si apre con alcune immagini cosmiche di genere apocalittico: "Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli verranno sconvolte" (v. 24-25); alcuni scienziati oggi perfino della Nasa usano lo stesso linguaggio; ma questo elemento viene relativizzato da ciò che segue: "Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria" (v. 26). Il "Figlio dell'uomo" è Gesù stesso, che collega il presente e il futuro; le antiche  parole dei profeti hanno trovato finalmente un centro nella storia nella persona del Messia nazareno: è Lui il vero avvenimento che, in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, rimane il punto fermo e stabile.
A conferma di questa sta un'altra espressione del Vangelo di oggi. Gesù afferma: "Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole  non passeranno "(v. 31). In effetti, sappiamo che nella Bibbia la Parola di Dio è all'origine della creazione: tutte le creature, a partire dagli elementi cosmici – sole, luna, firmamento – obbediscono alla Parola di Dio, esistono in quanto "chiamati" da essa. Questa potenza creatrice della Parola divina si à concentrata in Gesù Cristo, Verbo fatto carne, volto umano nel grembo verginale di Maria per opera dello Spirito santo, e passa anche attraverso le sue parole umane, che sono il vero "firmamento" che orienta il pensiero e il cammino dell'uomo sulla terra. Per questo Gesù, che ci fa vivere la fine dei tempi, non descrive  la fine del mondo che avverrà anche attraverso l'imprevedibile libero arbitrio dell'uomo, e quando usa immagini apocalittiche, non si comporta come un "veggente" che vede in anticipo. Al contrario, Egli vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità di date, previsioni  impossibili con la libertà dell'uomo, e vuole invece dare loro una chiave di lettura profonda, essenziale, e soprattutto indicare la via giusta su cui camminare, oggi e domani, per entrare nella vita veramente vita, nella vita eterna. Tutto passa – ci ricorda il Signore -, ma la Parola di Dio non muta, e di fronte ad essa ciascuno nel momento del distacco dell'anima dal corpo si autogiudicherà di fronte a Cristo giudice per l'eternità.
Anche nei nostri tempi non mancano calamità naturali in terremoti e vulcani, segni nel sole, nella luna, nelle stelle colti anche scientificamente nella loro provvisorietà, e purtroppo nemmeno guerre e violenze. Anche oggi abbiamo bisogno di un fondamento stabile per la nostra vita nel presente e la nostra speranza affidabile, tanto più a causa del relativismo in cui siamo immersi dal secolarismo. La Vergine Santa ci aiuti ad accogliere questo centro nella presenza della persona di Cristo, nella Parola e nel Sacramento almeno di ogni Domenica.

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