Sulla teologia della liberazione

di padre Giovanni Cavalcoli
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Sul sito Vatican Insider del 7 settembre u.s. compare un’intervista al teologo Gustavo Gutierrez, il famoso fondatore della “teologia della liberazione”, il quale comprensibilmente non le risparmia lodi incondizionate. Questa corrente teologica sudamericana, come è noto, ebbe il suo exploit negli anni ’70-’80 del secolo scorso ed  ancor oggi essa continua a far parlare di sé.  
Gutierrez assicura che la teologia della liberazione non è altro che il Vangelo difensore e liberatore dei poveri e degli oppressi; egli è convinto di avere in ciò la piena approvazione del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Mons.Gerhard Müller e addirittura del Papa. Cita poi il famoso teologo  liberazionista Leonardo Boff in tono favorevole, senza tenere alcun conto del fatto che  costui fu a suo tempo condannato dalla medesima Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF) nel 1985. 

Ora, su questa espressione “teologia della liberazione”, ci sono dei grandi equivoci, e qualcuno, come dicono a Roma, “ci marcia”, ossia, se non è proprio un ingenuo inescusabile,  ne approfitta per fare il furbo, pescare nel torbido e ingannare se stesso e i fedeli. E’ indubbio che l’espressione in se stessa è molto bella: che cosa è il Vangelo se non una teologia della liberazione? Cristo non è il grande Liberatore dell’umanità? Il cristianesimo - S.Paolo docet -, che cosa è se non una scuola di libertà? Su questo nessun dubbio. 
Ma la storia e gli usi linguistici ci insegnano, se non vogliamo  valerci di ipocrite astrazioni o giochi di parole, che il nome col quale di fatto vengono designati eventualmente dagli autori, iniziatori  o fondatori una dottrina, una corrente di pensiero, un sistema filosofico o teologico, un movimento politico o culturale o religioso, è poi il nome col quale la gente o gli storici designano quelle realtà. E con questo nome resta nel comune conversare umano, anche se etimologicamente o in precedenza quel nome significava altra cosa. 
Anche le parole comunismo, idealismo, storicismo, liberalismo, volontarismo, empirismo, positivismo, esistenzialismo sono in se stesse molto belle e cariche di significato positivo: chi non apprezza la comunione, l’ideale, la storia, la libertà, la volontà, l’esperienza, il fatto positivo, ma tutti gli studenti di filosofia del liceo sanno che di fatto questi termini designano realtà storico-culturali ben precise, a prescindere dal significato che ciascuna può avere di per sé in modo astratto o in senso etimologico.  
Lo stesso vale per la teologia della liberazione, che è stata ed è una corrente teologica ben precisa, con un fondatore ben preciso, una precisa data di nascita ed un ben preciso seguito di teologi sostenitori. Quindi non è il caso di menare il can per l’aia in una questione serissima come questa, dalle incalcolabili connessioni o implicazioni spirituali, morali, economiche, ecclesiali, politiche e sociali, per non dire militari internazionali.  
Non è il caso né di litigare gratuitamente né di gingillarci con le parole sulle spalle di masse sterminate di poveri ed oppressi nel mondo. Voglio dire che non è onesto approfittare dell’innocenza dell’espressione in se stessa per far passar sottobanco una data e ben caratterizzata “teologia della liberazione”, la quale, all’esame degli studiosi cattolici e dello stesso Magistero della Chiesa purtroppo si è rivelata carica di gravi difetti che sarebbe sleale nascondere per farne delle lodi incondizionate. 
Giusto pochi giorni fa il Papa ha dichiarato che per la difesa dei diritti dei lavoratori la teologia della liberazione non è necessaria. E’ evidente il senso nel quale il Pontefice, che non può essere accusato di stare dalla parte dei ricchi, ha usato questa espressione: nel suo senso negativo condannato dalla CDF nel 1984, anche se l’anno dopo essa emanò un altro documento nel quale evidenzia  gli aspetti positivi della teologia della liberazione, e in tal senso ovviamente Mons. Müller ha parlato positivamente della teologia della liberazione.  
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E’ arcinoto infatti che questa corrente teologica contiene aspetti positivi, tanto che negli anni ’80 persino un Cardinale del tutto equilibrato e moderato come Eduardo Pironio si dichiarava tranquillamente a favore della “teologia della liberazione”. Male fecero invece e crearono scandalo i Cardinali Arns e Lorscheider a prendere le difese di Boff. 
Ma il buon Gutierrez non si capisce da che parte stia, tanto è abile e studiata la sua ambiguità, che salva capra e cavoli, e sta sia con Boff che con Müller che col Papa in una sperticata lode della teologia della liberazione fatta coincidere sic et simpliciter col Vangelo. Allora – vien subito la domanda – la CDF si è sbagliata nel condannare Boff nel 1985 e la teologia della liberazione nel 1984? 
La grande obiezione che i liberazionisti facevano a Roma in questa occasione era: “da Roma non possono rendersi conto delle reali condizioni dei poveri e degli sfruttati in America Latina!”. Un’obiezione che si dà la zappa sui piedi, giacchè il documento della CDF non era né un’apologia dell’egoismo nè la pappolata di persone ignoranti che non sanno cosa accade in America Latina, ma semplicemente la messa in luce, con l’autorità propria della S.Sede, di errori teologici ed anzi di eresie, che hanno un contenuto oggettivo ed universale, si stia a Roma o si stia a Buenos Aires non significa nulla, così come quando un centro medico internazionale, poniamo di Roma, propone il rimedio a  un virus diffuso in America Latina, non significa che il vaccino valga solo a Roma e non in America Latina. A chi verrebbe in mente di obiettare che forse a Roma non conoscevano la situazione dell’America Latina? 
 Un ragionamento di questo tipo tutti lo capiscono, ma quando si tratta di verità o falsità nel campo della fede, chissà perché si tirano fuori gli argomenti più capziosi e sofistici, a tutto danno si capisce dei poveri fedeli che restano confusi e frastornati nell’ascoltare mestatori ed impostori non puniti a dovere, ai quali in fondo la salvezza delle anime non interessa, ma interessa godere della fama di geniali riformatori del pensiero. 
L’ampia e documentatissima Istruzione della CDF del 1984 mostra infatti all’evidenza con molti argomenti e ragioni, i punti nei quali una certa “teologia della liberazione”, che poi, come è apparso evidente, era quella di Boff e compagni, è inconciliabile col Vangelo: 
 -  per la sua prospettiva meramente secolarista chiusa alla trascendenza; 
-  la salvezza, quindi, non come esistenza beata in un futuro mondo ultraterreno, ma come salvezza intramondana. Per Gutierrez  “non c’è un altro mondo, ma c’è solo questo”. 
- per la concezione della fede, intesa non come assunzione di una dottrina dal Magistero della Chiesa, ma come esperienza della Parola di Dio nella comunità; 
- per il suo prassismo chiuso alla necessità della preghiera e della contemplazione soprannaturale; 
- per la concezione della libertà intesa non come liberazione dal peccato ma dall’ingiustizia sociale; 
- per il suo intendere la liturgia non come “fons et culmen totius vitae christianae” e la Messa come sacrificio divino espiatorio, ma come simbolo e momento della presenza di Dio nella prassi collettiva di liberazione; 
- per l’assenza di una dottrina della grazia redentrice e sanante  come remissione dei peccati: la grazia come simbolo della volontà riformatrice e rivoluzionaria del popolo di Dio nel processo di autoliberazione; 
- per il suo atteggiamento sovversivo proclive alla violenza di classe  nella rivendicazione dei diritti dei lavoratori, dei poveri e degli oppressi; 
- per il disprezzo della gerarchia cattolica e della prerogative della S.Sede accusate di essere strutture oppressive legate alle classi dominanti, sul fondamento di un’ecclesiologia “dal basso” (Iglesia popular), ove si predica un’uguaglianza che non è quella cristiana compatibile con il primato del sacerdozio sul laicato, ma più simile alla concezione luterana del sacerdozio universale;  
- per la sua impostazione tipicamente marxista, per la quale non è la persona singola che determina il bene sociale con la volontà morale riferita a Dio, ma sono le strutture sociali e il mutamento politico dei mezzi di produzione, sia pur guidati dalla Provvidenza, che portano alla liberazione dei singoli, il cui essere si risolve tutto nella relazione alla società. 
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Viceversa l’etica evangelica, che sembra predicare la debolezza davanti all’oppressore, un intimismo individualista che ignora la sofferenza del prossimo, una vile rassegnazione all’ingiustizia e forme consolatorie alienanti, alla fine, come dimostra la storia della Chiesa, dimostra maggiore realismo, energia ed efficacia d’azione che i reboanti manifesti, gli utopici proclami e i programmi rivoluzionari della teologia della liberazione 
Allora vorrei chiedere al caro Gutierrez: questo sarebbe il Vangelo? O forse Ratzinger si è sbagliato, quando, dopo accurate analisi, condotte dai suoi collaboratori, in forza del mandato ricevuto dal Beato Giovanni Paolo II, ha messo in luce questi punti di contrasto proprio in nome della giusta opera e lotta per la liberazione delle classi lavoratrici e dell’emancipazione dei poveri, che trova un riferimento decisivo in quella che dai tempi di Leone XIII chiamiamo “dottrina sociale della Chiesa”? 
Il difetto fondamentale della teologia della liberazione non è certo quello di concentrare l’attenzione sulle grandi questioni attinenti la giustizia e la pace, con particolare riferimento alla liberazione ed alla elevazione delle classi meno favorite o addirittura afflitte da varie e pesanti forme di miseria, poichè questo è un dovere fondamentale non dico del cristiano, ma di qualunque uomo di coscienza, ma è il modo ristretto e riduttivo, quindi falso, di concepire il cristianesimo, tutto chiuso negli interessi, nei mezzi, nelle prospettive e nelle possibilità del mondo presente, per un futuro meramente terreno, con l’illusione di trovare la felicità in questo mondo, il che alla fine finisce per rendere inefficace e deludente la lotta per quello stesso ideale per il quale essa dichiara di costituirsi. 
Anche considerando gli elementi validi della teologia della liberazione, se non si tratta di appropriate soluzioni adatte all’America Latina, io mi chiedo che cosa poi pretende di aggiungere alla già ricchissima dottrina sociale della Chiesa, che, dopo Leone XIII, passa per Pio XI, Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI? O forse vorrebbe correggere questa preziosa dottrina che, se non mette sempre in gioco l’infallibilità del Magistero, dato il suo carattere prevalentemente pastorale, certo nei suoi princìpi discende direttamente dalla fede? 
Non vedo male comunque una sana teologia della liberazione accanto e non contro il Magistero della Chiesa. Non escludo che qua e là proponga qualche soluzione anche più avanzata, che la Chiesa è ben lontana dal disprezzare ed anzi assume tranquillamente. Resta il problema degli errori. Se i teologi della liberazione si sono corretti da tali errori, la Chiesa non ne avrà che gioia e consolazione; se invece questi teologi vi sono ancora attaccati, allora, quando si parla di “teologia della liberazione”, occorrerà sempre precisare per evitare gli equivoci. Di quale “teologia della liberazione” si tratta? 
La vera teologia della liberazione è riassunta in queste splendide parole del Salmista: “Beato l’uomo che pensa al debole e al povero: nel giorno del male il Signore lo libera, lo custodisce, lo fa vivere, lo rende beato sulla terra e non lo consegna nelle mani dei suoi nemici”(Sal 41,2). 
Padre Giovanni Cavalcoli,OP  - Fontanellato, 9 settembre 2013

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