La vita contemplativa è necessaria alla Dottrina Sociale

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Nella Esortazione apostolica “Gaudete et exsultate” del 19 marzo 2018 stupisce la seguente frase: «Non è sano amare il silenzio ed evitare l’incontro con l’altro, desiderare il riposo e respingere l’attività, ricercare la preghiera e sottovalutare il servizio. Tutto può essere accettato e integrato come parte della propria esistenza in questo mondo, ed entra a far parte del cammino di santificazione. Siamo chiamati a vivere la contemplazione anche in mezzo all’azione, e ci santifichiamo nell’esercizio responsabile e generoso della nostra missione» (n. 26). A qualcuno è sembrata una negazione del valore della vita religiosa contemplativa.

Analoghe perplessità e preoccupazione hanno destato la Costituzione apostolica di papa Francesco Vultum Dei quaerere sulla vita contemplativa femminile del 29 giugno 2016 e l’Istruzione Cor Orans della Congregazione per la vita consacrate e gli istituti di vita apostolica applicativa della Vultum Dei quaerere e che porta la data del 1° aprile 2018. 
Il discorso della vita contemplativa interessa da vicino la Dottrina sociale della Chiesa, contrariamente a quanto viene da pensare. Si pensa infatti che la Dottrina sociale sia “per l’azione”, e questo è vero, però il Magistero dice anche che tutti i soggetti della Chiesa ne sono partecipi e, quindi, anche le vocazioni alla vita contemplativa, secondo una loro specifica modalità.
Il soggetto della Dottrina sociale della Chiesa, come ripetutamente afferma il magistero e come ricorda con chiarezza il Compendio del 2004 al n. 538, è la Chiesa intera, come soggetto transpersonale: questo è il significato dell’espressione “della Chiesa”. Naturalmente, la Chiesa ne è il soggetto unitario nella diversità dei carismi. Un posto particolare spetta anche alle religiose e ai religiosi che hanno seguito la chiamata di Cristo nella vita contemplativa. Essi non sono estranei alla Dottrina sociale della Chiesa e si mettono al suo servizio non rinunciando alla vita contemplativa ed aprendosi all’azione diretta nel mondo, ma proprio rimanendo fedeli alla loro vocazione religiosa ed ecclesiale. Per questo l’indicazione della “Gaudete ed exsultate” che vorrebbe indirizzare la vita contemplativa all’azione, privandola della sua specificità, sembra apparentemente corrispondere alle esigenze della Dottrina sociale della Chiesa ma in realtà le disattende.
La vita contemplativa nei monasteri da un lato anticipa in qualche modo la vita beata, che rimane il vero ed ultimo obiettivo anche dell’azione sociale, prefigurando già fin d’ora l’autentica comunità delle persone animate dalla grazia che diventerà realtà piena alla fine dei tempi, e dall’altro prega per il mondo, affinché esso accolga la salvezza cristiana e si lasci purificare dalla croce e dalla resurrezione di Cristo. Le persone dedite alla vita contemplativa non sono isolate dal mondo, anzi, esse lo assumono al massimo grado, prefigurandone il fine escatologico e pregando per la sua salvezza.
Risulta quindi strano chiedere alla vita contemplativa di trasformarsi in vita attiva, dato che proprio la vita contemplativa è il modo per “dedicarsi” in profondità al mondo. Le donne e gli uomini dei monasteri non evadono dal mondo, ma lo assumono in profondità maggiore anche rispetto a chi opera direttamente nel mondo. A loro volta, i cristiani che sono impegnati nel mondo attivamente sanno che non sono soli, perché i monaci e le monache pregano Dio per il mondo e per loro. Questa unione tra chi agisce e chi prega è molto intima e profonda e non c’è bisogno che gli uni o gli altri cambino il loro modo di essere per rafforzarla,
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anzi sarebbe un modo per indebolirla. La Dottrina sociale della Chiesa ha bisogno dei monaci e delle monache che si dedicano alla vita contemplativa e non chiede loro di rinunciarvi per dedicarsi alla vita attiva.
I monasteri devono rimanere monasteri e non è certo la Dottrina sociale della Chiesa a chiedere alle monache di un ordine contemplativo di aprire un ospizio per i poveri o una casa di accoglienza per le prostitute. La prima a non averne bisogno è la Dottrina sociale della Chiesa che sa bene che c’è quello che spetta a Marta e quello che spetta a Maria.
Tratto da: La Nuova Bussola Quotidiana

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