Quando Caffarra previde uno scisma

di Stefano Fontana
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Il cardinale Carlo Caffarra è morto il 6 settembre 2017. Oggi, a distanza di un anno, viene ricordato in Senato, come la NBQ aveva annunciato, presentando gli Atti di un convegno romano organizzato da suoi amici in suo ricordo e sulla linea delle sue battaglie per il bene della Chiesa. Era il 7 aprile 2018 e vi parteciparono i cardinali Brandmüller e Burke, l’arcivescovo Schneider, Marcello Pera, Renzo Puccetti, Flora Gualdani e Valerio Gigliotti. Gli Atti, pubblicati dalle Edizioni Fede & Cultura di Verona, hanno per titolo Chiesa cattolica, dove vai? ad esprimere le forti preoccupazioni di Caffarra che ebbe a dire al cardinale Burke: “Tutto ciò finirà in uno scisma”. Egli pronunciò quelle parole in occasione della lezione che il cardinale Walter Kasper tenne ai Cardinali nel febbraio 2014 in vista del Sinodo sulla famiglia e l’episodio viene ricordato dal cardinale Burke in questo libro di Atti. Ed in effetti, dopo la relazione Kasper il processo di “confusione” nella Chiesa – altra famosa espressione accorata di Caffarra - subì una forte accelerazione che tuttora sta procedendo, a provare che non si tratta di qualcosa di accidentale ma di sostanziale.

I grandi temi che formano l’oggetto di questo libro di Atti e che attraversano tutti gli interventi, sono due. Il primo riguarda i laici: in che senso i laici sono depositari di un senso della fede e di una infallibilità nel credere che dà loro il diritto di essere ascoltati nella Chiesa e di poter perfino esprimere delle riserve nei confronti degli insegnamenti dei Pastori. Il secondo è in che senso debba intendersi la plenitudo potestatis del Papa nella Chiesa. Il che, in concreto, significa se il Papa abbia dei limiti interni a questa pienezza del potere. Inutile dire che questi sono i temi fondamentali emersi dopo la presentazione dei Dubia dopo la pubblicazione di Amoris Laetitia, da parte dei quattro cardinali, tra cui Caffarra.
Un elemento che contraddistingue il libro è la presenza in molte relazioni del cardinale John Henry Newman, spesso citato, il cui pensiero offre alle due questioni suddette occasioni di chiarimento molto efficaci. È lui, infatti, a ricordare la crisi dell’Arianesimo dopo il Concilio di Nicea, tema che molti paragonano alla odierna situazione della Chiesa. Allora furono i laici a tenere fede alla vera dottrina mentre interi Sinodi si pronunciarono per l’eresia. È lui, inoltre, a dare il criterio per la corretta comprensione dello “sviluppo del dogma” che non può mai contraddire quanto la Chiesa ha sempre insegnato. È lui, infine, a dare la corretta interpretazione circa il ruolo della coscienza rispetto agli insegnamenti del Papa nella famosa Lettera al Duca di Norlfolk.
Circa il primo tema che ho richiamato sopra, il Cardinale Brandmüller spiega bene che i laici hanno il dovere di essere ascoltati e hanno il diritto di parlare nella Chiesa. C’è una “infallibilità” che attiene alla Chiesa intesa nel suo insieme, senza distinzione, e che consiste sia nel respingere l’errore sia nel proclamare la verità. I laici ne partecipano. Il problema, però, è che oggi l’espressione del sensus fidei dei laici viene interpretata come quanto può emergere da un sondaggio, da un voto, da un plebiscito. È ormai diventata prassi anticipare importanti convegni ecclesiali con schede di rilevazione dei pareri dei laici. Ma l’opinione pubblica non coincide con il sensus fidei dei credenti. Come non è detto che tale sensus fidei sia caratteristica solo dei laici “esperti”, dato che esso è di ordine spirituale. Brandmüller spiega che a fare la differenza tra le due realtà è la mancanza di contraddizione con la tradizione autentica. Nessun numero trasforma l’opinione in verità e spesso sono minoranze di fedeli a coltivare e difendere il senso della fede.
Interessante la questione posta (e risolta) da Brandmüller: come deve esprimersi questo senso della fede dei laici? Egli dice: con dichiarazioni spontanee. Non con indagini demoscopiche o questionari da compilare, ma con prese di posizione spontanee, come per esempio la petizione che un milione di cattolici hanno inviato al Papa circa le questioni sorte con Amoris Laetitia: “sono queste le forme in cui si manifesta oggi il sensus fidei, l’istinto di fede del popolo credente” (p. 13). 
L’altra grande questione ricordata all’inizio – il senso della pienezza del potere del Papa – viene chiarita dal cardinale Burke e da Valerio Gigliotti. Essa “non fu intesa come un’autorità sulla costituzione stessa della Chiesa o del suo Magistero, ma come una necessità per il governo della Chiesa in piena fedeltà alla sua costituzione e al suo Magistero … essa è stata data da Cristo stesso e non da qualche autorità umana o costituzione popolare, e perciò  può essere esercitata solo in obbedienza a Cristo” (p. 21).
La pienezza del potere del Papa, dato che viene da Dio, è limitato dal diritto naturale e dal diritto divino e quindi “qualsiasi espressione della dottrina o della prassi che non sia in conformità con la Divina Rivelazione, contenuta nelle Sacre Scritture e nella Tradizione della Chiesa, non può configurare un esercizio autentico del ministero Apostolico o Petrino e deve essere rifiutata dai fedeli” (p. 16).
Tratto da: Stefano Fontana, La Nuova Bussola Quotidiana, 6 settembre 2018

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