Perché l’economia deve corrispondere alla morale

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Lo scopo del  recente saggio La culla vuota della civiltà – All’origine della crisi (Gondolin, Verona 2018, con prefazione di Matteo Salvini) di cui sono autori, l’attuale ministro per la famiglia Lorenzo Fontana e l’economista Ettore Gotti Tedeschi, è la dimostrazione del collegamento diretto fra incremento della natalità, tutela e incoraggiamento alla formazione della famiglia e sviluppo economico, in modo che l’economia possa ritrovare nella crescita demografica e nella famiglia «l’investimento degli investimenti», come lo definisce Fontana nell’introduzione.
Obiettivo non facile da raggiungere, visto che i “cattivi maestri” dell’economia globalizzata che si sono succeduti sulla cattedra di Malthus hanno sempre creduto vera l’equazione per cui il prodotto interno lordo di un Paese cresce col decrescere della popolazione: quando la popolazione cresce troppo, gli individui della stessa specie entrano in competizione l’uno con l’altro per lo sfruttamento delle risorse disponibili: da qui la presunta necessità del controllo (o inibizione) delle nascite.

Niente di più sbagliato sostengono gli Autori; basta vedere infatti i risultati dei Paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) che incrementando la popolazione sono diventati ricchi, mentre l’Occidente, diminuendola, si è impoverito.
Ma perché – si può domandare il lettore inesperto – è proprio necessario ripristinare questo rapporto di proporzione diretta fra incremento della popolazione e crescita economica? Perché – risponde Gotti Tedeschi – è l’incremento della natalità che provoca la formazione della famiglia e la famiglia produce ricchezza, anzi è il primo aggregato di società che produce ricchezza.
La famiglia è tanto importante da detenere solo per sé ben «quattro anime economiche»: produce reddito, produce risparmio, produce investimenti e ridistribuisce il reddito al suo interno. Il valore economico della famiglia nasce dall’interesse – che è stimolo ed impegno – a perseguire azioni responsabili finalizzate al suo proprio sostentamento. Insomma, è la famiglia che è il primo motore di crescita della ricchezza e anche solo per questo «meriterebbe il Nobel per l’economia».
Del resto, la validità di questo asserto è ricavabile anche a contrario. Infatti il crollo della popolazione produce costi fissi crescenti per trattamenti pensionistici ed assistenza sanitaria, fa diminuire la produttività di un intero Paese a causa dell’invecchiamento della popolazione, inibisce la crescita del risparmio perché si formano meno famiglie che sono obbligate a risparmiare per i figli e, infine, induce al «consumismo», che è una risorsa surrogata di ricchezza che gonfia il p.i.l. di un Paese in decrescita demografica. In altre parole è l’illusione di un Paese che invecchia di mantenere inalterata la sua capacità produttiva.
E se qualcuno obiettasse, a ragione, che oggi come oggi è quasi impossibile formarsi una famiglia viste le difficoltà soprattutto di carattere economico e fiscale, Gotti Tedeschi risponde che oggi è, sì, difficile formarsi una famiglia, ma proprio perché dagli anni Settanta in poi si è scelta la strada di non avere figli: cioè da quando lo hanno deciso studi economici specialistici da una parte e volontà politiche ad altissimo livello dall’altra (vedi «Rapporto Kissinger» del 1974 a cui sono seguite pedisseque determinazioni di organizzazioni ed agenzie internazionali ad ogni livello).
 Il saggio è ricchissimo di riferimenti e di spunti quanto mai attuali e pertinenti e qui non è certo possibile elencarli tutti: dalla precisa ricostruzione di Fontana dei percorsi della più recente politica italiana, semplicemente aberranti quanto ai temi della natalità e della famiglia, al Jobs Act che ha precarizzato il lavoro delle famiglie, alle varie teorie para- o pseudo- scientifiche che non nascondono pregiudizi anti-famiglia e disegni anti-natalità in un panorama ancor più vasto che – come illustra Gotti Tedeschi – lascia intravvedere la creazione di un vero e proprio «nuovo ordine mondiale» che si richiama a precisi principi deontologici di stampo gnostico, relativista, quand’anche non nichilista: teoria gender (che sostituisce il «maschio e femmina li creò» di Gen. 1, 27); teoria malthusiana (che sostituisce il «crescete e moltiplicatevi» di Gen. 1, 28); teorie ambientaliste che vedono l’uomo come distruttore della natura (che sostituisce «assoggettate e dominate ogni essere vivente» di Gen. 1, 28).
Gli Autori non tacciono che la strada di un ribaltamento di valori è estremamente in salita perché qui si tratta di ribaltare, con l’economia, anche le coscienze, in un panorama che ritorna ad essere – dunque – quello dell’eterna lotta fra immanentismo e metafisica.
«Un Paese che non fa figli non ha futuro» dice Salvini nella sua prefazione, e intanto coglie esattamente un primo nocciolo pratico della questione quando indica la volontà di una riforma fiscale che favorisca le famiglie, soprattutto quelle numerose (magari con l’introduzione del tanto auspicato quoziente familiare), e non le penalizzi come la politica miope, sterile, atea e materialista ha fatto finora con un fiscalismo ad personam.
Sarebbe già un buon primo e significativo passo verso un sempre maggior riconoscimento della famiglia che si apre alla vita e mette al mondo figli. E da qui ripartire in ogni direzione.
Concludo.   Per le sue qualità – e soprattutto per il fatto notevole che Fontana e Gotti Tedeschi sono riusciti a dimostrare la “razionalità” delle leggi morali, e quindi la “necessità” di un’economia legata alla morale, quindi di un’economia alla ricerca di una verità che non sia solo una verità scientifica avulsa dall’uomo – ritengo che questo saggio possa essere adatto tanto ai lettori esperti, affinché aprano gli occhi oltre l’abitudinarietà, quanto ai meno esperti e agli adolescenti che si affacciano agli studi universitari (di qualunque genere),  spesso confusi da un pensiero unico, massificante e omologante, per aiutarli ad indirizzare la loro giovane coscienza verso un salutare cammino di ricerca della verità.
Tratto da: Giovanni Tortelli, Corrispondenza Romana, 8 agosto 2018

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