La liturgia di questa diciannovesima Domenica del tempo ordinario ci prepara, in qualche modo, alla solennità dell'Assunzione di Maria che ci dà la certezza della vita veramente vita per l'anima e per il corpo al di là della morte
di Mons. Gino Oliosi
La liturgia di questa diciannovesima Domenica del tempo ordinario ci prepara, in qualche modo, alla solennità dell'Assunzione di Maria al cielo che celebreremo il 15 agosto per ravvivare la certezza che a non andremo a finire in polvere ma raggiungeremo la vita veramente vita non solo dell'anima ma anche del corpo maschile o femminile. Questa
La liturgia di questa diciannovesima Domenica del tempo ordinario ci prepara, in qualche modo, alla solennità dell'Assunzione di Maria al cielo che celebreremo il 15 agosto per ravvivare la certezza che a non andremo a finire in polvere ma raggiungeremo la vita veramente vita non solo dell'anima ma anche del corpo maschile o femminile. Questa
liturgia infatti è tutta orientata verso il futuro, verso la vita veramente vita dell'anima e del corpo, dove la Vergine Madre di Dio ci ha preceduto come segno di speranza e di consolazione per noi. In particolare, la pagina evangelica, proseguendo il messaggio di domenica scorsa, invita i cristiani a non assolutizzare i beni materiali, a sviluppare la teologia del nostro corpo, un tutt'uno con la nostra anima e con il loro futuro eterno, e a tendervi amando come Lui ci ama. Il credente resta sempre desto come immagine del Figlio di Dio che ha assunto un volto umano, che ci ha amato e ci ama fino a donarci la propria vita, certi della somiglianza a Lui risorto primizia di noi in cammino con la Sua e nostra mamma. Attraverso esempi tratti dalla vita quotidiana, Gesù esorta i suoi discepoli e quindi oggi noi, a vivere questa disposizione interiore in rapporto ai beni temporali, come quei servi della parabola che sono in attesa operosa del loro padrone. "Beati quei servi – Egli dice, oggi noi – che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli" (Lc 12,37) cioè in attesa della meta per l'anima e per il corpo. Dobbiamo dunque vegliare, pregando e operando il bene cioè tendere alla santità.
E' vero, sulla terra siamo tutti i cammino verso la meta personale dell'anima e del corpo del nostro io, come opportunamente ci ricorda la seconda lettura dell'odierna liturgia, tratta dalla Lettera agli Ebrei. Essa ci presenta Abramo in abito da pellegrino, come un nomade che vive in una tenda e sosta in una regione straniera. A guidarlo è la dimensione di speranza della fede. "Per fede – scrive l'autore ispirato – Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per la speranza di un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì consapevole di quello che lasciava senza sapere dove andava (Eb 11,8). La sua vera meta, con tanti luoghi da passare, era infatti "la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso" (11,10) che non si può sbagliare perché sapienza infinita e non ci può ingannare perché bontà senza misura. La città a cui allude non è realizzabile totalmente nel tempo e nello spazio, ma è la Gerusalemme celeste, il paradiso cioè la vita veramente vita con ogni bene per l'anima e per il corpo senza più alcun male, nella piena giustizia e amore. Era ben consapevole di ciò la primitiva comunità cristiana che si considerava quaggiù "forestiera e chiama i suoi nuclei residenti nelle città "parrocchie", che significa appunto colonie di stranieri (in greco pàroikoi) (1P 2,11). In questo modo i cristiani esprimevano la caratteristica più importante della Chiesa, che è appunto la tensione verso la meta, verso il cielo. L'odierna liturgia della Parola vuole pertanto invitarci "alla vita del mondo che verrà", come ripetiamo ogni volta che con il Credo facciamo la nostra professione di fede. Un invito a spendere la nostra esistenza con cuore saggio e previdente, a considerare attentamente il nostro destino, e cioè quelle realtà che noi chiamiamo ultime: la morte quando l'anima di stacca da questo corpo con il giudizio particolare, il giudizio finale, l'eternità, il rischio infernale se senza amore, il paradiso. E proprio così noi assumiamo la responsabilità per il mondo e costruiamo la civiltà dell'amore.
La Vergine Maria, che dal cielo veglia su di noi, ci aiuti a non dimenticare che qui, sulla terra, nello spazio e nel tempo, siamo solo di passaggio, e ci insegni attraverso l'amore ad incontrare faccia a faccia Gesù che "siede alla destra di Dio Padre Onnipotente: di là verrà a giudicare i vivi e i morti".
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