Non separare fede e ragione politica. Del Noce docet

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di Stefano Fontana
Per il grande pensatore cattolico Augusto Del Noce, di cui quest'anno ricorre il 30° della morte, la fede cristiana ha un'esigenza di razionalità metafisica. Non è sufficiente che la fede entri in relazione con la ragione, bensì serve che la ragione non si stacchi dalla fede, pena il suo snaturamento e la caduta nell'ateismo. L'errore del progressismo cattolico è proprio quello di pensare che la ragione politica possa fare a meno della fede.
In questo anno 2019 ricorre il 30° anniversario della morte del filosofo cattolico Augusto Del Noce (1910-1989). A Trieste si è tenuto la settimana scorsa un convegno nazionale di due giorni, mentre escono libri che cercano di fare il punto sulla sua eredità di pensiero. Eredità che non sempre i suoi stessi eredi, molti dei quali oggi in posizione di prestigio, hanno onorato fino in fondo.
Tenendo conto della mole e della qualità del suo pensiero, vien da pensare che dedicargli un breve articolo come sto facendo io sia impresa velleitaria. Tuttavia, nella vastità e profondità della sua filosofia c’è un punto estremamente qualificante che è possibile identificare. Esso consiste in una frase che compare in Il problema dell’ateismo e in altre opere. Eccola: “La fede suppone inclusa in essa una metafisica, e non si esce dalla fede nel renderla esplicita”. Viene qui specificato il rapporto tra la ragione (e quindi anche la ragione politica) e la fede cristiana, che è di tipo molto particolare, anzi unico. Nel chiarire questa specificità, Del Noce si avvicina molto al pensiero di Ratzinger-Benedetto XVI.
La fede cattolica ha un'esigenza di razionalità metafisica, ossia richiede l’uso della ragione naturale e del suo impianto logico, per poter essere
compresa e approfondita teologicamente. Però la ragione – ed è questo il dato più importante della frase – non riesce ad essere se stessa se esce dal rapporto con la fede. Se questo avviene, osserva Del Noce, la filosofia si trasforma in “positivismo”, vale a dire cessa di essere filosofia. In questo modo, Del Noce dà una perfetta definizione di “filosofia cristiana”, avvalorando nella sostanza la tesi di Étienne Gilson attorno a questo annoso problema.
Per avere una filosofia cristiana non è sufficiente che la fede entri in relazione con la ragione, ma serve che la ragione non si stacchi dalla fede, perché solo in questo caso la ragione può essere vera ragione. La fede chiede alla ragione di essere se stessa e non di diventare a sua volta fede, ma nello stesso tempo le dice che non riuscirà mai ad essere se stessa se taglia i rapporti con la fede religiosa.
In Del Noce questo discorso si fa politico. Il peccato originale consiste nella negazione del principio ora visto, e infatti Del Noce accusa il pensiero moderno di non considerare più lo status naturae lapsae (stato di natura decaduta, ndr)dell’uomo, di ritenere il male non come peccato ma come la molla dialettica verso il progresso, e a questo punto la ragione umana non ha più bisogno della fede e può celebrare il proprio ateismo. L’eliminazione del peccato originale ha un grande significato politico (negativo): la ragione politica diventa autosufficiente e l’ateismo politico diventa la conclusione logica della modernità.
In questo processo, secondo Del Noce, il marxismo svolge un ruolo particolare e decisivo in quanto si configura come la maturità della modernità, superabile solo da Nietzsche, ossia dal nichilismo cieco e vitalistico. Ma nel marxismo c’è un passaggio a sua volta fondamentale verso questa maturità rappresentato da Gramsci e dal marxismo che rinuncia alla rivoluzione preventiva.
Il marxismo pre-gramsciano secolarizzava la salvezza cristiana nella rivoluzione e quindi non la eliminava completamente. Solo quando il concetto di “rivoluzione” viene meno – “si suicida”, dirà Del Noce nel suo famoso libro del 1978 – allora il marxismo svela pienamente se stesso come la maturità ultima della modernità. In quello stesso momento esso viene a coincidere con il nichilismo borghese, con la società radicale, opulenta, irreligiosa, col materialismo elegante, sofisticato e sostanzialmente neopagano delle élite. In Italia, il filone gobettiano e quello gramsciano convergono nel dimostrare storicamente questo esito che il Partito d’Azione incarnerà seppur per breve tempo, lasciandolo però poi in eredità ad altri, fino ai nostri giorni.
Il progressismo cattolico è una forma di collaborazionismo verso questo schema ideologico. Pensa che l’accettazione della democrazia da parte del Partito Comunista Italiano rappresenti il rifiuto delle sue pretese hegeliane, marxiste e atee, e non si accorge che invece ne è la radicalizzazione post-moderna. Il “vecchio” Partito Comunista era paradossalmente meno pericoloso e negativo dei partiti seguiti alle sue trasformazioni ideologiche, diventati libertari più dei liberali. L’errore di fondo del progressismo cattolico – scrive Del Noce – è di pretendere di separare la politica dalla religione, che è come dire che la ragione può essere se stessa anche se taglia i rapporti con la fede. Conclusione che contrasta con l’assunto delnociano da cui siamo partiti. Qui ci sta tutta la critica delnociana al Maritain di Umanesimo integrale e de L’uomo e lo Stato, assieme al compiacimento per il Maritain de Il Contadino della Garonna, revisionista di se stesso, anche se non al punto da resuscitare il Maritain di Antimoderno.
Dicevamo che molti dei suoi allievi, ora in posizioni di prestigio, non hanno tenuto fede a queste eredità, compresi alcuni movimenti ecclesiali nei quali Del Noce vedeva una speranza che la ragione politica non si staccasse dalla fede. Per questo credo che per recuperare l’autentico Del Noce bisogna rifarsi alla frase iniziale da cui sono partito e che oggi molti dei suoi allievi rinnegherebbero.
Per conoscere Augusto del Noce: Filosofia cristiana e politica in Augusto del Noce di Luca Del Pozzo

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