Hilaire Belloc e l’Europa moderna del Cardinale Richelieu

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di Luca Fumagalli
La casa editrice Fede & Cultura di Verona ha appena ripubblicato un saggio storico di Hilaire Belloc – giornalista, polemista e amico fraterno di G.K. Chesterton – dedicato alla figura del duca Armand-Jean du Plessis, il celebre Cardinale Richelieu.

Il testo, intitolato semplicemente Il Cardinale Richelieu, risale al 1938 e rappresenta una delle più belle tra le biografie che lo studioso britannico ha dedicato ad alcune figure simbolo della storia europea (ad esempio Elisabetta, Cromwell, Giacomo II e Napoleone).

Noto a tutti attraverso le pagine de I tre moschettieri, nella vulgata comune la figura di Richelieu è ancora relegata alla
scomoda posizione dell’eminenza grigia assegnatagli da Alexandre Dumas. Egoista, autoreferenziale e arrogante, il suo ritratto è una macchiettistica rappresentazione della corruzione ecclesiastica del XVII secolo. D’altro canto, però, dipinti come quello di  Henri-Paul Motte, in cui il cardinale, vestito con una lucente armatura bruna, osserva soddisfatto il compimento dell’assedio della fortezza ugonotta di La Rochelle, hanno contribuito ad esagerarne le virtù, trasformandolo addirittura in una sorta di nuovo crociato.

L’opera di Belloc si pone l’obiettivo di ristabilire la verità su Richelieu, scopo ottenuto grazie alla ricostruzione, storicamente ben documentata, delle luci e delle ombre che ne caratterizzarono l’esistenza.

Il cardinale è innanzitutto ricollocato nel peculiare contesto storico in cui visse, quel XVII secolo in cui l’Europa era attraversata da due grandi fratture: la contrapposizione tra l’antica cultura cattolica e quella protestante, e la funesta “religione del patriottismo”. Richelieu fu protagonista indiscusso di quest’epoca rivoluzionaria, epoca che spazzò definitivamente ogni ricordo della christianitas medievale: il cardinale – in questo un antesignano di Bismarck – fu colui che, più di altri, con la sua opera fondò il nazionalismo moderno e, allo stesso tempo, rese permanente la frantumazione religiosa già in atto.

Brillante diplomatico ma, all’occorrenza, astuto doppiogiochista, Richelieu divenne il deus ex machina del primo Seicento attraverso la conduzione di una politica aggressiva e fortunata. In una Francia prostrata dalle difficoltà, il cardinale si preoccupò dapprima di eliminare l’aristocrazia calvinista in costante subbuglio, poi rafforzò l’esercito, la burocrazia e la corona – aprendo la strada all’assolutismo –  e, infine, antepose gli interessi francesi a quelli del mondo cattolico durante la Guerra dei Trent’anni. Ai calvinisti d’oltralpe, resi innocui politicamente, garantì la libertà di culto e, a ulteriore testimonianza di come la religione fosse da lui considerata ampiamente accessoria sul piano temporale, comprò e scatenò contro l’imperatore la terribile macchina da guerra del luterano Gustavo Adolfo Vasa. Se la smaccata ostilità nei confronti degli Asburgo fu premiata con una vittoria sul campo di battaglia, certamente essa fu anche e soprattutto una disfatta spirituale per il continente.

La fine di Richelieu giunse improvvisa, cogliendo il cardinale al culmine della sua opera: con lui era nata l’Europa moderna, quella del pluralismo religioso e quella dei nazionalismi esasperati. Ma tutto ciò fu ottenuto a caro prezzo e, con il senno di poi, per un ben misero guadagno.

A Roma la sua dipartita venne salutata dal Papa con aspre parole: «Se c’è un Dio, il cardinale avrà molti conti da rendergli. Se non c’è, ebbene, egli ha vissuto una bella esistenza».

Il libro: Hilaire Belloc, Il Cardinale Richelieu. All’origine dell’Europa moderna, Verona, Fede & Cultura, 2019, pagine 304, Euro 21.

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