Spiritismo, fantasmi e magia: il lato “occulto” di mons. Robert Hugh Benson

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di Luca Fumagalli
Nella vasta bibliografia di Robert Hugh Benson (1871-1914), autore del celebre Il Padrone del mondo, vi è un romanzo, I necromanti, interamente dedicato al tema dello spiritismo. Il libro, la cui prima edizione risale al 1909, narra del conflitto tra due mondi inconciliabili, quello della Fede e della magia, che, cortocircuitando, generano i mostri di un racconto gotico che non è paragonabile a nessun’altra opera del monsignore inglese.


Il tema della narrazione era stato anticipato da Spiritualism, un articolo pubblicato da Benson sulle colonne del «Dublin Review». Affrontando la questione del soprannaturale secondo il punto di vista cattolico, l’autore – che considerava lo spiritismo «un pericolo grande e mortale» – si dichiarava certo dell’esistenza degli spiriti, capaci di mostrarsi e di offrire un’interazione vera e immediata con i vivi. La Chiesa non nega in via teorica la possibilità di mettersi in contatto con i defunti attraverso pratiche magiche. Il vero problema non sono gli inganni dai ciarlatani, quanto capire che dietro tali azioni si cela il desiderio compiaciuto dell’autodivinizzazione e, non meno importante, il rischio di perdere l’anima.

Lo spiritismo era approdato in Inghilterra a metà del XIX secolo, quando dall’America erano giunti alcuni famosi medium. Divenne rapidamente un fenomeno di moda – tanto da attrarre intellettuali del calibro di Arthur Conan Doyle – un’opportunità per sfuggire al ferreo razionalismo dell’Età vittoriana, stemperando le tensioni sociali e liberandosi dalle repressioni morali. Proprio per queste ragioni chi partecipava alle sedute non era interessato alla veridicità della natura paranormale del fenomeno, ma cercava più semplicemente lo stupore, l’evasione dalla banalità del quotidiano.


Gli incontri, che spesso si tenevano nei salotti dell’alta società, avevano come scopo quello di evocare il fantasma di un defunto. La stanza era preventivamente purificata con l’incenso e, per aiutare la concentrazione dei convenuti, luci soffuse e candele completavano l’atmosfera. La seduta era guidata da un capogruppo, un medium capace di mettersi in contatto con il mondo degli spiriti, mentre tutti gli avvenimenti erano registrati da un segretario. Non rara era anche la presenza di un medico, pronto a intervenire in caso di necessità.


Lo stesso Benson, al contempo credulone e sospettoso, proveniva da una famiglia profondamente immersa nella moda vittoriana per lo spiritismo. Scrive a tal proposito il gesuita C. C. Martindale: «Suo padre aveva fondato la Ghost Society; il professor Henry Sidgwick aveva fondato la Society for Psychical Research. Mrs. Sidgwick, sua zia, ne era il presidente; le esperienze psichiche della signora Benson erano considerevoli; l’interesse per il trascendente dei due fratelli di Hugh è familiare a tutti i lettori dei loro libri».

Anche Benson aveva coltivato una passione per la magia e i fantasmi sin da quando era studente a Cambridge (persino la Hare Street House, la dimora dei suoi ultimi anni, si diceva fosse infestata). Qualcuno crede che tale interesse durò persino dopo la sua morte, dal momento che tra gli anni Quaranta e Cinquanta videro la luce vari libretti scritti dal medium Anthony Borgia sotto la presunta dettatura dello spirito del monsignore.

Stando alla testimonianza di Vyvyan Holland, pure ai tempi dell’amicizia con Frederick Rolfe, lo stravagante scrittore meglio noto con lo pseudonimo di Baron Corvo, la curiosità di Benson per l’occulto era vivissima: «Nel 1906 […] padre Benson era profondamente assorbito in ogni genere di questioni riguardanti la magia, la necromanzia e lo spiritismo, e dedicava buona parte del suo tempo a leggere libri su questi argomenti. […] La storia di gran lunga più interessante che Benson mi raccontò a questo proposito fu un esperimento di magia bianca che aveva compiuto su richiesta di Rolfe. […] L’esperimento consisteva principalmente nella ripetizione di alcune preghiere e nel seguire un periodo di contemplazione religiosa, e padre Benson non vide niente di male nel portarlo a compimento. C’erano anche delle prescrizioni riguardanti l’ora in cui ci si doveva alzare e coricare, e alcuni cibi e bevande che dovevano essere evitati. Ricordo che ogni genere di alcolico era proibito. La durata di questo regime andava dai dieci ai quattordici giorni. Alla fine del periodo prescritto, padre Benson mi disse di aver distintamente visto una bianca figura, i cui lineamenti non erano ben visibili, avanzare a cavallo fino al centro della sua camera e lì fermarsi per circa mezzo minuto prima di dissolversi lentamente. […] Ho riferito questa storia come mi è stata raccontata. Secondo me padre Benson, in quel periodo, si dedicava troppo alla studio della mistica e si trovava in uno stato di grande nervosismo».


Più o meno allo stesso periodo risale l’incontro tra il monsignore e un altro inquietante artista, Austin Osman Spare. Come scrive Massimo Introvigne ne Il cappello del mago, «Spare, secondo le sue stesse dichiarazioni, avrebbe ricevuto un’iniziazione stregonica in giovanissima età da una certa signora Paterson – una vecchia che aveva la capacità di trasformarsi in una sensuale e bellissima fanciulla – ed a partire dal 1905 aveva alternato produzioni poetiche e dipinti di carattere erotico-occultistico. All’epoca delle sue prime produzioni il giovane artista veniva talora accolto nella casa del reverendo Robert Hugh Benson […], che aveva studiato a lungo – per attaccarlo – il mondo occultistico e massonico. A torto o a ragione, la sua casa era ritenuta stregata, e Benson, resosi conto delle facoltà “stregoniche” di Spare, poté presentarlo a vari esponenti del dubbio mondo su cui conduceva i suoi studi».

Altro personaggio bizzarro che il monsignore ebbe modo di frequentare fu la scrittrice Marie Corelli, emblema del decadentismo edoardiano e, pure lei, appassionata indagatrice dell’occulto.

Che Benson sul tema dello spiritismo avesse le idee un po’ confuse lo dimostra perfettamente l’articolo A Modern Theory of Human Personality, scritto nel 1907 per il «Dublin Review». Tra psicologia e occulto l’autore tenta in modo un po’ raffazzonato di dimostrare la possibilità di accordare col tempo la ricerca scientifica e il cattolicesimo.

Tra l’altro simili ambiguità sono presenti in un paio delle sue opere narrative meno conosciute. Nel racconto di Monsignor Maxwell contenuto nella raccolta A Mirror of Shalott, a tema fantasmi, e in A Winnowng, uno dei suoi ultimi romanzi, si parla di sofferenza, apostasia, sacrifici, peccati e miracoli secondo una prospettiva distorta, chiaramente influenzata dalla dottrina della “sostituzione mistica” dell’eretico Abbé Boullan (in cui Benson era probabilmente incappato leggendo Santa Ludovina di Huysmans). Anche nel volume d’esordio del monsignore, La luce invisibile (1903) – in seguito ripudiato dallo stesso autore – talvolta si confonde in maniera eccessivamente disinvolta il misticismo cristiano col paranormale.


Simili errori – determinati da una cultura teologica lacunosa e da letture troppo vaste ed indiscriminate – sono tuttavia episodici, a volte addirittura contraddetti dallo stesso Benson, che in altri testi offre un’esposizione perfettamente ortodossa della dottrina cattolica.

I necromanti, in questo senso, costituisce un ottimo esempio, anche e soprattutto per lo spirito apologetico che lo attraversa. Secondo Shane Leslie, esso «rappresenta un lato vivido e deliberato dello sguardo di padre Benson sul sovrannaturale. La sua accettazione del mistero di un mondo nascosto comprende una franca ammissione di scomode verità sullo spiritismo. […] Da cattolico rifiutava lo spiritismo, una delle opere del maligno, ma il suo interesse per i meccanismi sottesi ad esso non cessarono, culminando nella più macabra delle sue opere».

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