Contro il Buddismo

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«Non t’illudere, o Gabriele, tu non entrerai mai in quel beato soggiorno, finchè vivi attaccato alla setta di Budda!». «Ma perché mai?». «Perché è falsa, né v’ha salute fuori della religione di Cristo». «Eppure i bonzi m’hanno insegnato che tutte le religioni son buone, e che io seguendo quella di Budda, non solo andrò in cielo, ma anzi dopo morte l’anima mia sarà trasformata in un Kamis». «T’hanno ingannato, o Gabriele, t’hanno ingannato, e credilo senza più al tuo Gonzalvo, il quale si espose ad ogni cimento della vita a fine di venirsene in queste terre, a torre (togliere) dalle fauci del demonio tante misere creature» (pp. 6-7).
Questo dialogo esemplare, riportato da Roberto Dal Bosco nella sua importante monografia (cfr. Roberto Dal Bosco, Contro il buddismo. Il volto oscuro di una dottrina arcana, Fede & Cultura, Verona 2012, pp. 160, € 15), è
avvenuto nel XVI secolo tra il francescano spagnolo, poi martire di Cristo, san Gonzalvo Garcia (1556-1597) e un buddista giapponese di nome Gabriele. Non diversamente parlarono i grandi evangelizzatori dell’Oriente, dal beato Matteo Ricci (che considerava il buddismo come frutto di un’azione del diavolo, cfr. p. 19) a san Francesco Saverio. Esso è emblematico di una mentalità e di una teologia ancora fermamente legata alla Parola di Dio la quale, come noto, insegna doversi convertire alla verità del Cristianesimo, ogni singolo essere umano (cfr. Mt 28, 18-20; Mc 16, 15-18) poiché solo Gesù Cristo, unico inviato in terra dal Padre Celeste, è «la Via, la Verità e la Vita» e soltanto Lui ha fornito gli strumenti e gli insegnamenti che rendono graditi a Dio, Uno e Trino. Gli studi storici, antropologici e teologici sulle altre religioni, ebbero un immane sviluppo nel XIX e nel XX secolo (si pensi alla pregevole opera di padre Tacchi Venturi) e questo, di per sé, fu un bene. Si veda per esempio l’accuratezza e la “scientificità” delle voci Buddismo e Induismo in quel monumento del sapere, teologicamente fondato, che è l’Enciclopedia Cattolica. Purtroppo però certi studiosi, ed anche taluni sacerdoti (come il Massillon), andarono troppo in là e cercarono di ingrandire quelle somiglianze e quelle apparenti sintonie, che esisterebbero tra tutte le religioni, in modo da mettere in secondo piano i punti dogmatici decisivi del Cristianesimo, che non derivano però dall’intelligenza umana e dalla spiritualità innata dei popoli (si pensi alla Trinità, alla Grazia, ai 7 Sacramenti, al valore delle opere per la salvezza, al primato della vita contemplativa, etc.). Il decreto Nostra aetate sembra recepire le summenzionate istanze ed infatti nei brani dedicati al Buddismo e all’Induismo (Na 2) dà una descrizione incredibilmente positiva di queste due filosofie religiose. Certo, in esse, come in qualunque sistema di pensiero, non mancano gli elementi teoreticamente validi. Il buddismo per esempio sembrerebbe a tratti una visione della vita simile ad uno “stoicismo orientale” tutto proteso alla contemplazione della fragilità del mondo e delle cose materiali. Ma, come ci dimostra Dal Bosco con ampie ricerche, «il buddismo è distruzione» (p. 7); esso «è votato alla rovina, alla devastazione, all’annichilimento (dell’io). La luce dell’illuminazione (buddistica) brucia, incendia, cauterizza. È contraria alla vita, al cosmo, all’uomo. A Dio» (p. 7). Si tratta di una filosofia religiosa completamente impregnata di astrologia, panteismo, stregoneria, esoterismo, superstizione, e in fondo di vero e proprio ateismo surrogato da una patina di “spiritualità” così superficiale e disimpegnata da poter attrarre attori di Hollywood, calciatori e veline. Oggi però, grazie ai tanti esempi offertici da Roberto Dal Bosco, sappiamo meglio di mezzo secolo fa cosa può produrre il buddismo in un anima e quanto questa pseudo-religione del nirvana, dell’apatia e del nulla, contribuisca alla morte della civiltà. 

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