Vespri anglicani in San Pietro in Vaticano

Che cosa possiamo donare ai “fratelli separati”?

di Giuseppe Stevi
Non si potrà certo dire che non saranno bellissimi. Attenzione, bellissimi non nel senso di quando si apprezza particolarmente uno spettacolo, ma in quello di una sentita elevazione spirituale a motivo del canto che accompagnerà e farà preghiera.
Almeno questo ci si può aspettare dai vespri che sono stati annunciati per lunedì 13 marzo prossimo - ricordo a me stesso “Feria Secunda infra hebdomadam II in Quadragesima” del calendario romano - presso l’altare della Cattedra della Patriarcale Basilica di San Pietro in Vaticano e presieduti da un
ministro della chiesa d’Inghilterra (anglicano), accompagnati dal coro del “Merton College” di Oxford e che vedranno l’omelia tenuta da un arcivescovo cattolico segretario presso una Congregazione della Curia Romana.
Per il resto che cosa ci sarà da aspettarsi da questa prima volta di una funzione secondo i riti anglicani presso la Cattedra di San Pietro?
Non lo sappiamo, ma qualche considerazione ci deve essere permessa.
Per esempio: gli anglicani ci “offriranno” (ci “doneranno”, se lo preferite) un ottimo canto liturgico; noi, sicuramente, da parte nostra, che cosa gli potremo offrire? Nella migliore delle ipotesi una buona, anzi ottima, omelia. E, penso, in quell’occasione, null’altro.
Certo, questa è la considerazione che facciamo. Ecumenismo significa anche donare le proprie ricchezze spirituali ai “fratelli separati”; e così fanno in questa occasione gli Anglicani. Ma noi non gli doniamo proprio nulla, se non l’ospitalità sotto la cupola di Michelangelo (per non disturbare, nell’occasione, le reliquie del Principe degli Apostoli).
Gli offriamo il canto gregoriano o, per esempio, i salmi, i mottetti o le messe musicate da Pierluigi da Palestrina? Girando per le parrocchie cattoliche è difficile trovarne traccia. 
Gli offriamo una messa cattolica? Sempre girando in tante parrocchie cattoliche è forse difficile avere la certezza, sul momento, di partecipare ad una messa cattolica.
E allora? Cosa gli offriamo, come ci incontriamo? come dialoghiamo?
Un mezzo ci sarebbe. O meglio un grande Dono ci sarebbe e forse anche più di un solo dono. Se è dono lo si offre, e chi è riconoscente lo accetta e penso che tanti anglicani lo accetterebbero volentieri.
Il dono è quello della Santissima Eucaristia che i fedeli della chiesa d’Inghilterra hanno via via abbandonato, forse anche denigrato, ma sicuramente progressivamente “eclissato” dai loro riti e dalle loro preghiere. Non è mistero infatti che le riforme liturgiche attuate nell’anglicanesimo a partire dalla seconda metà del ’500 siano state finalizzate a privare il Sacrificio Eucaristico del suo valore propiziatorio, tanto che, giustamente, è possibile affermare che gli anglicani “non hanno il Signore” nelle specie eucaristiche, ma “credono” di averlo.
Allora, se si vuole fare vero ecumenismo, come ha fatto Benedetto XVI con l’istituzione nel 2009 dell’Ordinariato Cattolico di “Nostra Signora di Walsingham” per i fedeli anglicani rientrati nella Chiesa Cattolica, bisogna donare qualcosa di autentico. 
E le cose autentiche sono quelle tramandate, passate sullo scorrere delle generazioni e non quelle fatte a tavolino. Occorre quindi essere sinceri e onesti con sé stessi prima di tutto, per evitare di tradire la Verità; il resto sono solo ammenicoli che creano unicamente confusione.
Di confusione infatti ve ne è già stata abbastanza sulle coste d’Inghilterra a metà del ’500.
Abbiamo l’Eucarestia, da celebrare ed adorare, onorare e ringraziare. Altro non ci serve, né a noi, né ai “fratelli separati”. A questi La offriamo perché un Dono più grande non possono averlo senza di noi che da cinque secoli - nell’ultimo cinquantennio con qualche stupida titubanza - Lo preserviamo anche per loro. Questo è vero ecumenismo.
Di contro, se i doni reciproci non sono autentici, non vi potrà essere vera amicizia, ma unicamente un soprammobile, anche bello a vedersi, ma sempre tale, e destinato, prima o poi, a finire, ahimè, in soffitta.
Per ora, quindi, preserviamo ciò che dovremo donare. I frutti, visto che son così tanto desiderati, arriveranno genuini.

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