Il «Commento alla Divina Liturgia» di Nikolaos Cabasilas e la fase post lockdown

 

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Presento di seguito il Commento alla Divina Liturgia del Padre della Chiesa greco Nikolaos Cabasilas (1320/22-1391/97), tradotto in italiano da M.M.E. Pedrone e M. di Monte (Monasterium, 2019). Come si desume dal titolo, si tratta di un testo di liturgia, materia che risulta, soprattutto oggi, quanto mai bisognosa di divenire oggetto di seria riflessione e catechesi per noi cristiani. Lo scollamento, inaugurato secoli fa, tra Parola di Dio e sacramento/liturgia, ha prodotto una, anche molto latente, radicalizzazione della comprensione di un termine a prescindere dall’altro e, come conseguenza, una scarsa conoscenza riguardo, non solo alla Parola di Dio, ma anche alla materia liturgico-sacramentale. Scindere ciò che costituisce un’unità non riguarda solo la Parola e il sacramento ma anche l’amore a Dio e l’amore al prossimo, il dogma e la pastorale, la verità e la misericordia, ecc. Gli esiti di ciò, sul piano spirituale ed esistentivo, sono incalcolabili. L’uomo che frammenta è un uomo frammentato: da ciò si comprendono i continui richiami di papa Francesco, volti a una ripresa dei contenuti dell’autocoscienza cristiana che fissino una visione d’insieme: l’appartenenza a una storia, a un popolo, a un creato, e primariamente a un Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo e non ad un’astratta deità.

Dato che, sempre papa Francesco, in questa fase di ripartenza dopo il lockdown, ha messo in guardia dalla tentazione di voler tornare a “come era prima” – economia dello scarto, clericalismo, ecc. – credo sia opportuno guardare al “come era prima” della Tradizione dei Santi Padri. Dato poi che per il magistero della Chiesa cattolica la tradizione cristiana orientale costituisce un polmone di quella occidentale, onde evitare pericolose crisi respiratorie, sarà bene respirare sempre anche con quel polmone.

Cabasilas è un eminente rappresentante del nostro polmone orientale. Il Commento alla Divina Liturgia è considerato da alcuni l’apice del pensiero liturgico bizantino e opera di grande valore ecumenico, se si pensa che esso ha avuto una notevole diffusione non solo in ambito greco, ma anche russo e latino (il Concilio di Trento invocò la sua autorità). Composto da 53 capitoli, propone una spiegazione, passo passo, della Liturgia del Crisostomo in cui l’Autore espone la sua teologia sulla Liturgia, sia in generale che per quanto concerne temi specifici. 

Cabasilas mostra come la Liturgia sia – in linea con Palamas e la prospettiva occidentale – la ripresentazione di tutta l’opera salvifica di Cristo, della Parola di Dio che appare, si fa carne e la santifica. La Liturgia rappresenta quindi l’inserimento dell’uomo nella storia della salvezza – come Cabasilas mostra nelle sue spiegazioni, ad esempio, sulle antifone – la quale è la storia redenta e ciò in cui è significata la Chiesa: da ciò la formulazione del principio teologico secondo cui tra Chiesa ed eucaristia non v’è un’analogia di somiglianza ma un’identità di realtà, quella del corpo di Cristo. Cabasilas identifica, a tal proposito, l’efficacia dei vari momenti della Liturgia, massimamente quello della consacrazione delle specie, che consiste nel purificare e santificare l’uomo, e che portano questi a contemplare (e non a riflettere intellettualisticamente) l’opera cosmica (e non di incontro privato io-Tu) redentrice di Cristo. Dalla santificazione nasce – è questo un aspetto molto sottolineato da Cabasilas – l’impegno e la responsabilità del cristiano che riguarda l’oblatività della vita e che si concretizza anche nella buona disposizione e nella preparazione alla Liturgia.

Entrando più nel dettaglio della Liturgia, essa, fino a prima della preghiera eucaristica, risulta figurativa, di preparazione a ciò che segue. Le specie eucaristiche che vengono offerte simboleggiano la vita, in tal senso l’uomo offre le primizie della vita a Dio che Questi trasformerà nella vera vita, il corpo di Cristo. E tuttavia quest’offerta è già simbolo dell’offerta di Cristo nella prima tappa della sua vita, così come la presentazione del vangelo simboleggia il manifestarsi di Cristo alle folle e la processione dalla protesi all’altare il maltrattamento di Gesù. Tutto ciò è manifestato, però, quale Liturgia celeste, come espresso dal Trisagion. La preghiera eucaristica e l’epiclesi – il centro della Liturgia – rendono Cristo presente, mentre dall’anamnesi fino al termine è simboleggiato l’effetto della redenzione, ossia l’invio dello Spirito Santo alla Chiesa, è questo il significato dell’acqua calda (acqua e fuoco sono immagini dello Spirito) nel calice. 

In tale quadro generale, emergono poi aspetti specifici in cui Cabasilas apporta il suo originale contributo.

Il sacrificio. Cabasilas è stato il primo a commentare, dal punto di vista dogmatico, il fatto che la Liturgia è un vero sacrificio, ripresentazione dell’unico sacrificio del Golgota, che avviene nell’atto della consacrazione. Teologi come Ioannis Zizioulas, a dire il vero, ravvisano in tale lettura i primi segni del formarsi di una comprensione della Liturgia come ripresentazione di un evento passato, la quale attenua l’orientamento escatologico del simbolismo liturgico originale, un primo sintomo di quel sentire teologico medievale con le sue tendenze “cosificanti” e “individualizzanti”. 

Epiclesi. In polemica con i latini, Cabasilas mostra, mettendo in parallelo il «prendete e mangiate» di Gesù con il «crescete e moltiplicatevi» della Genesi, come la consacrazione avvenga nell’epiclesi, riconoscendo tuttavia che le parole di istituzione del Signore sono necessarie per l’efficacia di essa. È così fornita un’attestazione di applicazione di una cristologia pneumatologica quale, di per sé, deve essere.

Partecipazione dei giusti non ancora santi. Cabasilas teorizza – non sulla base dei Padri ma della sua lettura della Scrittura e del principio secondo cui la santificazione ha come sede l’anima e non il corpo (pur raggiungendo, da essa, il corpo) – la comunione ai sacri misteri dei defunti non ancora santi. Da ciò si ha che partecipare alla Divina Liturgia, e il ricordo di questi defunti, è comunione con essi; che il luogo di tale ricordo, e la luce che illumina esso, è, quindi, la storia di salvezza di un popolo e della creazione tutta e non un sentimento di un individuo; che ogni Liturgia è per/con tutti i defunti. 

Partecipazione dei Santi. Il ricordo dei Santi interviene più volte ed è esso stesso motivo del rendimento di grazie che è la Liturgia. «I loro beni sono i nostri», perciò «ringraziamo il Donatore» e «anch’essi ricevono i doni» che è «oblazione fatta per amore loro». Essi non sono un contorno accessorio (il culto verso di loro non può essere slegato dal significato comunionale, di esso e dell’Eucaristia), ma questi sono compresi nella comunione tra loro, nella comunione con i fedeli in quanto Chiesa e nel quadro eucaristico, ossia della storia della redenzione, e non devozionalistico/individualistico. 

Da questi rapidi rilievi si constata la profondità teologica della Liturgia e l’urgenza di una quanto più precisa comprensione di questa per il cristiano. Altresì, si evidenzia come occorra una seria, e sempre critica, riconsiderazione del dato della Tradizione, nonché un approfondimento di quest’ultima, tale che sia rivelata più chiaramente la costituzione trinitaria ed ecclesiale dell’essere del cristiano e del creato. Torniamo alle celebrazioni, “non come prima”: superando – nella sempre più piena ricezione del dato della Tradizione, soprattutto patristica, e quindi, di fatto, del magistero conciliare – ogni concezione cristomonista della fede, devozionalista della Liturgia e individualista dell’uomo, smascherata ogni qualvolta quest’ultimo si rivela dittatore e schiavo e non figlio libero e fratello.

Dario Chiapetti

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