Joseph de Maistre, duecento anni dalla morte (ma non li dimostra)

di Gennaro Malgieri

Due secoli non sono bastati per cancellarne la memoria. Gennaro Malgieri, a 200 anni dalla sua morte, ricorda il conte Joseph de Maistre. La sua imponenza filosofica, politica, giuridica è tale che se dovesse sparire dalla memoria culturale europea sarebbe come amputare il pensiero critico controrivoluzionario

Il 26 febbraio 1821 si spegneva a Torino il conte Joseph de Maistre. Aveva settantotto anni (era nato a Chambéry in Savoia il primo aprile 1753). Due secoli non sono bastati per cancellarne la memoria. E probabilmente non ne basteranno altri due. La sua imponenza filosofica, politica, giuridica è tale che se dovesse sparire dalla memoria culturale europea sarebbe come amputare il pensiero critico controrivoluzionario e dichiarare la vittoria della modernità privata del suo più lucido e lungimirante nemico nel momento in cui essa sembra decisamente in affanno.

La testimonianza maestriana è paradossalmente utile perfino a coloro che lo avversano dal momento che nessuno come lui ha esercitato una anatomica sezione del potere da indurre chiunque a rifarsi alla sua speculazione, come dimostrano esegeti perfino di derivazione marxista. Con il suo pensiero ha smontato come un meccano la logica rivoluzionaria immettendo nella logica filosofica del suo tempo e nell’applicazione della stessa alla politica gli elementi che demolivano le aporie modernizzatrici, illuministe, rivoluzionarie al punto da sconvolgere perfino i piccoli pensieri dei sovrani, a cominciare dal suo Savoia, che dopo la disfatta di Bonaparte si accingevano a restaurare la vecchia disfatta dall’impeto del còrso. Non ebbe la fortuna di un Metternich perché non servì un sovrano capace di comprenderne il genio, ma tuttavia, pur relegato nella periferia della grande politica ad essa fu fedele applicando la propria intelligenza alla decifrazione degli arcani dell’autorità e della tradizione dalla quale essa nasceva.

Lo raccontano bene gli autori che si firmano sotto il nome di una fortunata rubrica giornalistica on line, Campari&deMaistre, dando alle stampe un volume godibilissimo, ricco di annotazioni filosofiche e biografiche edito da Giubilei Regnani: “Joseph de Maistre. Il padre del pensiero controrivoluzionario” (pp.183, € 18,00). In questo saggio a più mani emerge la figura del grande savoiardo come teorico e statista, diplomatico e saggio ammonitore dei governanti, capace e di “dettare la linea” ancora oggi a tutti coloro che “non si rassegnano al trionfo del disordine e vogliono aggrapparsi invece all’ordine”. Che è poi il succo gradevole del capolavoro filosofico, storico, politico ed anche teologico di Joseph de Maistre, “Le serate di San Pietroburgo" la cui ultima edizione è quella proposta da Fede & Cultura” (pp.398, € 29,00) ripropongono con le note di Carlo De Nevo e arricchito dalla illuminante prefazione di Ignazio Cantoni.

Il fatto che l’opera maggiore maestriana continui ad essere ripubblicata è davvero un “segno dei tempi”. Il processo rivoluzionario incominciato oltre due secoli fa ha raggiunto il suo scopo: l’inversione di tutti i valori che hanno connotato le società umane e quelle occidentali in particolare. Il “verbo” controrivoluzionario, pur manifestandosi in maniera discontinua ed abborracciata, non incide come sarebbe auspicabile nel formare una tendenza reazionaria in grado di movimentare l’opposizione alla distruzione della famiglia, alla disarticolazione delle comunità e dei corpi naturali, alla decadenza della vita pubblica. E, soprattutto, le classi dirigenti soggiogate da un nichilismo che farebbe orrore agli stessi rivoluzionari del 1789, appiattite sul relativismo morale e culturale, non sono assolutamente capaci di restituire agli Stati ed alle nazioni ruolo ed identità tanto che l’Europa maistriana, come sarebbe auspicabile, rimane un’utopia. Le Serate, dunque, è allo stesso tempo una provocazione ed un’occasione per riflettere su quanto è accaduto dalla Rivoluzione in poi e si è accentuato dalla seconda metà del secolo scorso, coinvolgendo nella pratica relativista che denuncia, la stessa chiesa cattolica ed ogni principio religioso e metafisico. È quanto emerge soprattutto nei saggi di Mancini e Di Michele della premiata ditta Camlafi&deMaistre. Un saggio che ha insegnato a ragionare, tra gli altri, a Baudelaire e a Cioran (questi ne tesse l’apologia in Esercizi di ammirazione).

Quando, oltre quarant’anni fa il compianto amico Alfredo Cattabiani, propose l’opera di de Maistre in pieno delirio post-sessantottesco, edita da Rusconi, preceduta da un suo corposo saggio introduttivo che rimane la più bella biografia del grande savoiardo, gli sguardi delle occhiute polizie politiche dell’apparato intellettuale gridarono allo scandalo. Oggi di scandaloso non v’è più nulla. L’indifferenza domina sovrana. E perfino un’opera come Serate di San Pietroburgo non suscita le reazione avverse che si si attenderebbero, non foss’altro che per metterla all’indice da parte dei progressisti e dei neo-illuministi. Niente. De Maistre non fa più male. Non è un segno incoraggiante. Le stesse élites intellettuali del campo anti-laicista non sembrano sprecarsi più di tanto nel tenere viva una tradizione culturale che sola potrebbe contrastare la decadenza. E su questa ignoranza si fonda il declino o l’irrilevanza delle forze che immaginano di opporsi al conformismo imperante, ma in realtà ne sostengono l’impalcatura ideologica fino all’apologia della morte racchiusa nell’eutanasia.

All’epoca la prima edizione italiana delle Serate, suscitò scalpore nell’intellighentia progressista; oggi nessuno se ne accorgerebbe, come non si accorgono dei duecento anni dalla morte: i furori ideologici sono appassiti e perfino de Maistre trova posto dove nessuno avrebbe mai immaginato. Anni fa le sue Considerazioni sulla Francia furono pubblicate dagli Editori Riuniti, un buon segno che tuttavia depotenziava la critica distruttiva maistriana della rivoluzione francese. Un’abile operazione di “trasbordo ideologico”, per dirla con Plinio Correa de Oliveira accostato nel saggio al Savoiardo. Comunque la si pensi, le Serate è una delle opere che in un ideale scaffale della cultura europea non può mancare. E tanto più se ne apprezza il valore quanto più le riflessioni del conte si palesano “attuali” in chiave critica della modernità, come si diceva. Articolato in undici colloqui cui danno vita tre personaggi – il conte, il senatore e il cavaliere – sul “governo temporale della Provvidenza”, il libro è una sontuosa apologia della Tradizione costruita attorno alle contraddizioni del pensiero occidentale quale è venuto manifestandosi ed affermandosi al tempo dei Lumi per poi influenzare la morale e la politica correnti.

Molti hanno visto l’opera maistriana come la punta di lancia della Controrivoluzione. E’ vero soltanto in parte. La sua essenza profonda è costituita da una indagine approfondita, ma mai noiosa, della struttura del potere in relazione alla fede, alla scienza, al governo delle pubbliche amministrazioni. Il limite a cui richiama de Maistre è quello di attenersi nella conduzione degli Stati ai principi del diritto naturale e da qui nasce la sua “teologia politica” che, proprio in quanto fondata sull’intangibilità della persona, è quanto di più antitotalitario si possa immaginare. Se non ha cessato di provocare, in due secoli, discussioni e sempre – da avversari e da estimatori – è stata riguardata come “geniale”, il motivo è nella sua stringente critica all’assolutismo della Ragione nel cui segno sono stati compiuti i più orrendi misfatti dai tempi della Grande Rivoluzione ai nostri giorni.

Con uno stile brillante, piacevole, perfino ironico in molte pagine, l’autore non fa che seminare dubbi in chi ritiene che i miti intellettuali contemporanei siano indiscutibili. Eppure mai come oggi il rapporto tra scienza e fede, unitamente al fondamento del potere statuale e della legittimità delle sovranità costituiscono temi di grande spessore intorno ai quali il dibattito è quanto mai acceso.

E’ un peccato che de Maistre risulti espunto dalla polemica sulla libertà , l’indipendenza e l’autodeterminazione dei popoli che furoreggia di questi tempi. Una dimenticanza imperdonabile che la ripubblicazione delle Serate dovrebbe in parte colmare.

Per fortuna, nella marea del conformismo intellettuale, per quanto isolato, brilla Domenico Fisichella, uno dei maggiori politologi contemporanei, studioso apprezzato ben oltre i confini nazionali, analista del totalitarismo efficace, che di de Maistre non s’è dimenticato, non lo ha messo tra parentesi, non lo mai considerato un occasionale “incidente” nella celebrazione dei trionfi illuministici. Al conte di Chambéry, ambasciatore del re di Sardegna in Russia e Reggente della Gran Cancelleria del Regno, dedicò qualche anno fa le intense pagine del volume Sovranità e diritto naturale in Joseph de Maistre (Pagine, pp.239, € 17,00 ). In questo straordinario saggio che racconta come nessun altro in Italia il percorso formativo e l’itinerario politico-culturale di de Maistre, Fisichella ha il merito di inquadrarlo come “pensatore della crisi” e la crisi ha un nome: “rivoluzione”. Non diversamente da Edmund Burke, capofila del conservatorismo, e di altri intellettuali che si opposero al giacobinismo, de Maistre penetra nei meandri rivoluzionari individuandone le radici antimetafisiche ed i principi sovversivi che avrebbero corroso l’Europa. E ne trae la conclusione che è il cuore della sua meditazione: l’essenza nichilista della rivoluzione totalitaria è quella di “cambiare il mondo nel suo tutto, nella sua totalità”. Fisichella confuta così, con grande semplicità, il pregiudizio diffuso con successo da Isaiah Berlin secondo il quale de Maistre sarebbe stato il precursore del totalitarismo. Al contrario, Fisichella dimostra come il pensatore savoiardo abbia tenuto a sottolineare il principio regolatore del diritto naturale, affogato dai carnefici della rivoluzione nel sangue che sparsero, come elemento indiscutibile di un ordine umano che contempera la difesa della libertà riconoscendo l’autorità delle istituzioni non meno di quello morale.

Il saggio di Fisichella non è soltanto il miglior contributo alla comprensione di de Maistre, ma anche un’esegesi di ciò che de Maistre denuncia nella sua vasta opera, a cominciare dalla fine dell’Europa a cui l’autore dedica pagine che chiunque di questi tempi dovrebbe leggere. “Nonostante il suo forte travaglio interiore – scrive Fisichella -, Maistre dà ancora speranza alla sua Europa, all’Europa della Tradizione, e alla sua capacità di resistere e di reagire, temperando con equilibrio le dinamiche della storia. Muore per risorgere. L’immagine non potrebbe essere più simbolicamente appropriata per Joseph de Maistre, cattolico, europeo, italiano”.

formiche.net, 27 febbraio 2021

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