Ecco che cosa c'è dietro il “Fenomeno Meloni”.

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di Vincenzo Caccioppoli
“Δήµου κρατοῦσα χεὶρ”. Forse la storia che stiamo per raccontare è tutta in questo verso de Le supplici di Eschilo. La “mano dominante del popolo” è quella che Giorgia Meloni ambisce da sempre a rappresentare.” Si apre con queste parole il nuovo libro del giornalista Francesco Boezi “Fenomeno Meloni” edito da Gondolin Edizioni. Si perche il libro che nel titolo tradisce un elegia alla personalità politica, che tutti i sondaggi danno in costante crescita, premiando la sua coerenza e le sue innegabili doti da leader, in realtà vuole raccontare il lungo percorso, anche tortuoso, che ha portato la Meloni a guidare un partito, Fdi, nato da una scissione anche piuttosto turbolenta con il vecchio partito delle libertà, ed ora arrivato ad essere il terzo partito italiano. Perchè se certamente la figura della Meloni rimane comunque centrale nella disanima dell’autore, nel libro viene dato ampio spazio alla cosiddetta generazione “Atreju”, dal nome della festa del partito, che si tiene ogni anno alla isola Tiberina a Settembre, che ha accompagnato la leader nel suo percorso politico giunto vicino al momento della verità, dal momento che sempre più osservatori indicano proprio lei come la palpabile leader della coalizione di centrodestra in un prossimo futuro. L’autore del libro è Francesco Boezi. Giornalista, collaboratore de il Giornale.it e di Inside-Over, Boezi si occupa soprattutto di “cronache vaticane”, ma il suo viaggio è a ritroso. Perché? Ha guidato la sezione di Azione Giovani di Alatri per anni, prima di diventare il presidente provinciale di Gioventù Nazionale a Frosinone insieme a Mario Colagiovanni. E forse proprio per questa sua militanza politica nelle fila giovanili di Gioventu Nazionale, da dove provengono i massimi dirigenti dell’attuale partito, da Carlo Fidanza  a Nicola Procaccini, da Giovanni Donzelli a Francesco Lollobrigida er GiovanBattista Fazzolari, il suo contributo non si limita ad elogiare le indubbie qualità della Meloni, ma anche vuole rendere omaggio ad classe dirigente storica, che  forma l’ossatura del partito. Questo per voler dire che dietro ad una grande leader, malgrado quello che molti osservatori ancora adesso pensano, si nasconde un piccolo esercito di fedeli scudieri che siu forma e nasce da una lunga militanza in Alleanza nazionale prima e nel Pdl poi, proprio come la Meloni. Il libro parte dal congresso di Viterbo. Era il 2004, e Giorgia Meloni si apprestava ad un’epica battaglia contro la corrente di Gianni Alemanno, rappresentata in quella assise congressuale da Carlo Fidanza, adesso parlamentare europeo di Fdi. A Viterbo c’era anche Francesco Acquaroli, neo presidente della Regione Marche. Anche Acquaroli proviene dalla “Generazione Atreju“, il nucleo originario di un Partito che giocoforza sta allargando le maglie, in funzione della crescita dei consensi. Quella vittoria della Meloni al fotofinish  a Viterbo nel 2004, forse non solo ha cambiato il destino suo e del principale partito della destra italiana, ma potrebbe avare presto anche ripercussioni sulla vita politica nazionale. Come racconta ancora l’autore nel libro “Giorgia Meloni, a Viterbo, ha meno di trent’anni. Come spesso le sarebbe capitato nel corso della sua ascesa politica. Durante i primi anni del 2000, la Meloni usava spesso dire che alla sua età Alessandro Magno aveva già conquistato la Persia. La giovinezza non era uno stopper valido, meno che mai una scusante, allora come adesso. Finalmente la destra giovanile era stata convocata per il congresso nazionale. Azione Giovani, il primo erede dello storico Fronte della Gioventù, riunito in un Colosseo temporaneo. Del Fronte, in Ag, si respirava anche la densità culturale. Fare politica a destra non è mai stato agevole. In relazione alla scioltezza con cui si milita a sinistra, neppure oggi lo è.” Gia forse è proprio per questo motivo che a Viterbo è nata quella consapevolezza che ha permesso alla Meloni, ma anche a Fidanza, suo competitor allora, a Donzelli, a Fazzolari, a Lollobrigida, di credere nelle proprie idee e non aver paura delle sfide anche difficili, come quella di abbandonare la coalizione del Pdl di Berlusconi. Scelta che alla fine sembra averli premiati, pensando che nel 2018 Fdi aveva ottenuto alle politiche poco più del 4% ed adesso quasi tutti i sodnagi lo danno intorno al 16%. Il partito perciò al di là del peso del suo leader, a cui si deve sicuramente molto del suo successo, viene rappresentato come un consesso di personalità di rilievo e non solo degli yes man come la letteratura politica, forse un po' troppo superficialmente, vuol far credere. Tutti per uno e uno per tutti potrebbe essere il facile motto che si attaglia alla perfezione alla idea che del partito ha la Meloni, che non a caso è sempre stata una fiera oppositrice dell’assioma grillino, dell’uno vale uno, ma è invece una fautrice della meritocrazia ( e non potrebbe essere altrimenti dal momento che lei per prima è molto esigente per prima proprio con se stessa ) e della conquista del campo delle posizioni raggiunte. Non è un caso che Fdi da tempo è per il ritorno delle liste di preferenze, e contraria alla liste bloccate, che affidano alle segretarie del partito il pieno controllo sui propri eletti. La Meloni è perciò convinta dei suoi uomini e non è certo una accentratrice come qualcuno forse potrebbe pensare. Come dice il professore di Ermeneutica filosofica all’Università di Trieste, ma è stato anche direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Berlino e direttore scientifico della Fondazione Liberal, Renato Cristin, intervistato dall’autore “L’azione politica di Giorgia Meloni è un perfetto esempio di rinnovamento nella continuità. Precisato che il fascismo è una esperienza storica passata in giudicato, la continuità riguarda invece i valori costruttivi della destra, che corrispondono alla destra moderna non totalitaria, conservatrice e liberale, filoatlantica e cristiana. L’aver immesso questi valori nel filone della destra italiana rappresenta il rinnovamento operato dalla Meloni, che della destra è dunque non solo il leader politico, ma anche il teorico che è riuscito a superare le aporie del passato e le secche ideali sulle quali la destra si era arenata dopo la fine di Alleanza Nazionale”. Una teoria che sembra potere essere condivisbile e che ha contribuito a rendere la Meloni credibile, malgrado il suo retroterra ideologico, che ha sempre chiuso gli esponenti di destra in una posizione comunque marginale, anche quando Fini ha cercato forse troppo disinvoltamente di smarcarsi dal suo retaggio, guardando prima al centro e poi addirittura a sinistra, decretando la sua fine come leader politico credibile, ben prima degli scandali che lo hanno coinvolto. Giorgia Meloni invece è riuscito a diventare palpabile addirittura anche per una futura premiership del paese, senza rinunciare mai alla sua identità e alle sue idee politiche. Alla fine questa coerenza sembra stia pagando anche in termini di consenso.


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