La lezione attualissima di “Iota unum”

di Aurelio Porfiri
Ci sono libri che ci fanno bene perché ci aiutano a capire come va il mondo, come interpretare certi fenomeni che altrimenti ci rimarrebbero oscuri. Ecco, se uno vuole comprendere che cosa è accaduto nella Chiesa postconciliare, non può evitare di leggere Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX (Fede & Cultura, con testi di Luigi Negri, Divo Barsotti e Giovanni Cavalcoli) del filosofo e teologo italo-svizzero Romano Amerio (1905-1997). Un testo apparso originariamente negli anni Ottanta e passato attraverso vari editori, una lettura obbligatoria per confrontarsi con gli ultimi decenni, segnati da cambiamenti che nella Chiesa cattolica non hanno paragone, per vastità e impatto, con i secoli precedenti. Non si deve essere d’accordo con ogni cosa detta da Amerio nel libro, ma il suo pensiero, lucido e tagliente non può, anzi non deve, essere evitato.

Monsignor Luigi Negri, che fu allievo di Romano Amerio, dice nell’introduzione: «La sua cultura è una cultura straordinaria: se Giovanni Paolo II usò per Hans Urs von Balthasar l’espressione “il cristiano più colto del nostro tempo”, credo di non recare offesa ad alcuno ritenendo Amerio uno dei più grandi uomini di cultura italiani del XX secolo. La sua è una cultura sterminata, che abbraccia i campi della teologia, della storia della Chiesa, della storia della filosofia, dell’antropologia culturale, dell’etica sintetizzati nelle lettere classiche».

Per capire il testo di Amerio, il grande don Divo Barsotti presenta una chiave interpretativa, che ritroveremo poi anche nel pensiero di monsignor Antonio Livi: «Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente ad un generale disordine mentale per cui viene messa la caritas avanti alla veritas, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità. La cristianità, prima che nel suo seno si affermasse il pensiero di Cartesio, aveva sempre proceduto santamente facendo precedere la veritas alla caritas, così come sappiamo che dalla bocca divina del Cristo spira il soffio dello Spirito Santo, e non viceversa». Questa osservazione del grande Barsotti non è laterale ai problemi enormi che si affrontano oggi, anzi possiamo dire che è una delle chiavi per leggere i cambiamenti.

Il domenicano padre Giovanni Cavalcoli, pur esprimendo alcune riserve su certi punti del testo, ne riconosce l’importanza affermando: «L’autore giustamente denuncia, dal punto di vista filosofico, la mentalità nominalistico-empirista esistenzialista-storicista come responsabile della cecità nei confronti dell’immutabilità dell’essenza in quanto elemento intellegibile dell’ente, senza per questo escludere l’esistenza di realtà mutevoli. Ma anche l’essenza di queste, in quanto oggetto dell’intelligenza, è immutabile».

Occupandosi della crisi nella Chiesa, Amerio scrive: «In OR [Osservatore romano, ndr]  del 23 luglio 1972, introducendo un’altra analogia poetica, si scrive che gli attuali gemiti della Chiesa non sono i gemiti di un’agonia, ma quelli di un parto, quando sta per venire al mondo un essere nuovo, cioè una nuova Chiesa. Ma può nascere una Chiesa nuova? Qui nell’invoglio di poetiche metafore e nel miscuglio dei concetti, si cela l’idea di cosa impossibile ad avvenire secondo il sistema cattolico, l’idea cioè che il divenire storico della Chiesa possa essere un divenire di fondo, una mutazione sostanziale, un trasferirsi da tutt’altra in tutt’altra. Secondo il sistema cattolico invece il divenire della Chiesa consta di una vicissitudine in cui cangiano le accidentali forme e le storiche congiunture, serbandosi identica e senza novazione la sostanza della religione. La sola novazione che l’ecclesiologia ortodossa conosca è la novazione escatologica con nuova terra e nuovo cielo, cioè la finale ed eterna riordinazione dell’universa creatura, liberata dall’imperfezione, non del limite, ma del peccato, mediante la giustizia delle giustizie nella vita eterna».  E prosegue: «Ci furono in passato altri schemi in cui questa riordinazione è tenuta come un evento della storia terrena e un’instaurazione del regno dello Spirito Santo, ma tali schemi appartengono alle deviazioni ereticali. La Chiesa diviene, ma non muta. Non si dà in essa novità radicale. Il cielo nuovo e la terra nuova, la nuova Gerusalemme, il cantico nuovo, il nome nuovo di Dio medesimo non sono realtà della storia del mondo, ma del sopramondo. Il tentativo di spingere il Cristianesimo oltre sé stesso fino a “une forme inconnue de religion, une religion que personne ne pouvait imaginer et décrire jusqu’ici”, come non teme di scrivere Teilhard de Chardin, è un paralogismo e un errore religioso. È un paralogismo, perché se la religione cristiana ha da mutarsi da tutt’altro in tutt’altro da sé, diviene impossibile dare alle proposizioni del discorso l’identico soggetto e perisce la continuità tra la presente Chiesa e la futura. È un errore religioso, perché il regno che non si origina da questo mondo conosce mutazioni nel tempo, che è una categoria accidentale, ma non già nella sostanza. Di questa sostanza “iota unum non praeteribit”. Nemmeno uno iota muterà. Teilhard non può preconizzare un andare del Cristianesimo oltre sé stesso, se non perché dimentica che andare oltre sé stesso, cioè passare il limite (ultima linea mors) significa morire e che così il Cristianesimo dovrebbe morire, anzi morire per non morire».

Sono tanti i temi trattati nel libro, dalle crisi nella Chiesa alla vita religiosa, dalla gioventù al Concilio Vaticano II. A questo proposito Amerio dice: «Che il Vaticano II sia stato il massimo dei Concili per frequenza di Padri, apparati organizzativi e risonanza nell’opinione pubblica è indubitabile, ma queste sono circostanze, non valori di un Concilio».

Insomma, Iota unum è un testo tra i più importanti per capire il nostro passato recente ma anche il nostro futuro prossimo.

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