San Tommaso d'Aquino - Stefano Fontana

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Cari amici di Fede & Cultura, oggi, festa di san Tommaso d'Aquino, riportiamo alcune pagine del libro di Stefano Fontana La sapienza dei medievali che fanno parte del capitolo dedicato a san Tommaso. Per onorare la santità dell'intelligenza donataci da Dio non c'è modo migliore che usarla sulle orme di colui che in questo è maestro sommo.
Buona lettura!
Prof. Giovanni Zenone Ph.D.
Direttore
Fede & Cultura

San Tommaso d'Aquino

Doctor angelicus et communis

Nessun pensatore cristiano è stato onorato dai pontefici come san Tommaso d’Aquino (1225-1274) e tanto segnalato come esempio di corretto uso del pensiero. Ciò non accadde però subito. Anzi il vescovo di Parigi Stefano Tempier condannò alcune sue tesi considerate “aristoteliche”. Le accuse ebbero vita breve e infatti la sua canonizzazione avvenne molto presto, nel 1323, da parte di Giovanni XXII. In sede di canonizzazione il Papa pronunciò la famosa frase: “Tommaso ha illuminato la Chiesa molto più di tutti gli altri dottori e tramite i suoi libri una persona ottiene più vantaggi in un solo anno che non dedicando l’intera sua vita ai libri degli altri”. Nel 1567 Pio V lo proclamò “Dottore angelico”, titolo che si aggiunse a quello di Doctor communis. Durante il Concilio di Trento i Padri vollero che in mezzo all’aula delle adunanze, insieme ai Libri della Sacra Scrittura e ai decreti dei Pontefici romani, fosse collocata, aperta sull’altare, la Summa di san Tommaso.
È però in epoca moderna che l’indicazione di san Tommaso come maestro di verità cristiana viene maggiormente espressa dal magistero della Chiesa. Il 4 agosto 1879 papa Leone XIII pubblicò l’enciclica Aeterni Patris. Nella cultura del tempo dominava il materialismo della filosofia del Positivismo, che era diventata la filosofia ufficiale dei nuovi Stati europei. Leone XIII chiese allora un “ritorno a san Tommaso”, proponendolo come maestro non solo nella teologia, ma anche nella filosofia. Nella Aeterni Patris il Papa esorta i maestri “a far penetrare negli animi dei discepoli la dottrina di san Tommaso d’Aquino, mettendo in luce la saldezza e l’eccellenza di essa in confronto a tutte le altre”. L’anno successivo, il 4 agosto 1880, lo stesso Pontefice proclamava san Tommaso d’Aquino patrono delle scuole cattoliche.
San Pio X riprese l’indirizzo di Leone XIII, teso a far riscoprire il pensiero di san Tommaso contro il modernismo che stava entrando nei seminari, e in un Breve del 1904 disse che “discostarsi da san Tommaso di un solo passo, principalmente nelle cose della metafisica, non sarebbe senza danno grave”. Nel 1914 la Sacra Congregazione per gli studi religiosi, per volontà del Papa, redasse 24 tesi tomistiche che venivano indicate come contenenti sicuramente la dottrina di san Tommaso. Il successore Benedetto XV confermò le 24 tesi. 
L’indicazione di san Tommaso come prima fonte di ispirazione fu decretata anche dal Codice di diritto canonico del 1917, da Pio XI nell’enciclica Studiorum ducem, da Pio XII nella Humani generis del 1950 e dal Codice di diritto canonico del 1983.
In occasione del Concilio Vaticano II fu ricusata la proposta della Commissione preparatoria, ma ugualmente il Concilio indica per esempio san Tommaso. Il decreto Optatam totius e la dichiarazione Gravissimum educationis lo propongono come esempio primario.
Paolo VI disse che quella di san Tommaso è “la filosofia naturale della mente umana”. Giovanni Paolo II alimenta la sua enciclica Fides et ratio (1998) di numerose tesi di san Tommaso e ha ricordato che il Santo “è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1992, cita san Tommaso di gran lunga più di ogni altro teologo cattolico. 
Nonostante questi richiami autorevoli, è indubbio che la teologia cattolica abbia di gran lunga trascurato san Tommaso negli ultimi tempi, sostituendogli i pensatori moderni, oppure rifiutando la possibilità stessa della metafisica, e tutto questo, come diceva Pio X, “con grave danno” per la Chiesa. Oggi in molti seminari lo studio di san Tommaso è addirittura interdetto e Ordini religiosi che si rifanno al suo insegnamento vengono sanzionati.

Il metodo realista del tomismo

La filosofia di san Tommaso è la piena espressione del realismo metodico. Non che il tomismo sia solo un metodo né che lo sia prevalentemente, anzi separare metodo da contenuto è già una concessione all’idealismo. Il realismo parte dall’essere e ritorna sempre all’essere come criterio di verità. L’idealismo, invece, parte dalla coscienza o dal pensiero per arrivare poi all’essere. Però non ci può riuscire, perché se si parte dalla coscienza vuol dire che si parte non dalla realtà, ma da come noi vediamo la realtà e questa prospettiva soggettiva non ci abbandonerà poi mai più perché, essendo il punto di partenza, è anche il fondamento. Bene esprime tutto questo Étienne Gilson: per l’idealista

il proprio mondo dell’esperienza è una scenografia e, dietro questa scenografia, c’è qualcos’altro; egli tuttavia non può guardare dall’altro lato della scenografia per vedere ciò che vi accade giacché, ogni volta che tenta di farlo, le condizioni a priori dell’esperienza trasformano in una nuova scenografia quanto si nascondeva dietro la vecchia.

Per le varie forme di idealismo, quindi, si rimane prigionieri della nostra coscienza o, se si vuole, del proprio punto di vista, e l’essere ci rimane precluso. L’idealismo quindi è destinato al fallimento: pretende di arrivare meglio all’essere e non ci arriva mai. 
Si può dire anche che l’idealismo finisca per essere una forma di volontarismo: l’impossibilità di conoscere direttamente l’essere se non passando dalla propria coscienza è un assunto non dimostrato, espressione quindi di una volontà più che di una conoscenza. Sul carattere postulatorio del razionalismo moderno sono concordi molti autorevoli interpreti come Augusto Del Noce, Cornelio Fabro, Joseph Ratzinger. Esso libera la coscienza dalle verità che essa stessa non si sia date, trasformandola così in un atto di volontà pura e incondizionata. In questo modo l’idealismo si manifesta come prassismo, dato che la volontà muove la prassi non secondo una verità, ma secondo il soddisfacimento di se stessa nell’azione. Ma l’azione per l’azione, senza regole che non siano la propria soddisfazione, conduce l’idealismo al nichilismo, ossia a una esistenza senza fondamenti di senso.
Per il realismo invece il nostro intelletto, tramite l’insostituibile strumento dei sensi, conosce originariamente l’ente. L’idealismo nasce dallo scetticismo, ossia dal dubbio di poter conoscere l’essere, invece il realismo nasce dalla certezza di conoscere l’essere. Il problema di “come” si conosce viene dopo la conoscenza dell’essere: prima si conosce l’essere e, conoscendolo, si conosce anche come si conosce. Quando si cerca l’oggetto, è perché l’oggetto è già presente. Il domandare filosofico non precede la conoscenza del reale, la segue. Il problema gnoseologico, ossia relativo alla conoscenza, deriva dal problema metafisico, ossia dalla conoscenza dell’essere, che lo precede. La gnoseologia del realismo è una metafisica del conoscere e non una critica, una psicologia o una fisiologia del conoscere. Porsi la domanda “posso conoscere?” è già idealismo. Anteporre il metodo al contenuto è già idealismo. Fare l’analisi delle condizioni presenti a priori nella nostra coscienza per spiegare i contenuti della coscienza stessa, come farà Kant, significa mettere definitivamente da parte la possibilità di conoscere il reale. Tutti i criteri, sia conoscitivi che morali, derivano dall’apprensione dell’essere che è certa e immediata, il che non vuol dire ingenua né prefilosofica o irrazionale. La verità è adeguamento all’essere delle cose. Il bene è l’adeguamento della volontà all’essere delle cose in quanto desiderabile nel suo finalismo. La libertà è l’adesione della volontà guidata dalla ragione alle leggi del reale. 
San Tommaso d’Aquino non è l’unico pensatore realista, è però stato realista nel modo più rigoroso e completo. Egli ha costruito la più matura sintesi di relazione tra ragione e fede cristiana, dato che il cristianesimo contiene in sé implicita una metafisica realista. Il realismo non può non elaborare una metafisica realista, dato che l’oggetto della metafisica, ossia l’essere in generale, è presente fin da subito all’intelletto umano. Se priviamo i dogmi della fede cattolica della metafisica realista che li sostiene essi decadono a sentimento o a semplice esperienza. San Tommaso purifica e completa tutte le forme di realismo precedenti e contiene virtualmente tutte le forme di realismo successive.
La filosofia classica greca e cristiana è, seppure in diverse forme e modalità, sostanzialmente realista. Anche il filone platonico e agostiniano non può essere considerato idealista. La centralità della coscienza non ha qui niente a che fare con l’idealismo moderno, ma si sostanzia di una metafisica realistica anche se perseguita per via più spiccatamente interioristica e anamnesica. C’è senz’altro una grande differenza di impianto tra san Tommaso e san Bonaventura, ma non possono essere considerati come il realismo di fronte all’idealismo. Invece, deve essere considerata idealista la filosofia moderna ed è nei confronti della modernità come categoria filosofica che il realismo tomista assume una posizione di antidoto e contrapposizione. Qui l’opposizione dei due impianti è evidente e irriducibile. 
Durante il percorso filosofico dell’epoca moderna, si faranno diversi tentativi per conciliare il realismo tomista con l’idealismo moderno, ma determineranno gravi danni filosofici, in modo particolare per la religione cattolica. Ciò avvenne, per esempio, all’università cattolica di Lovanio, dove la scuola del cardinale Désiré-Joseph Mercier (1851-1926) e di monsignor Joseph Maréchal (1978-1944) iniziò a costruire un “realismo critico”, operazione cui parteciparono filosofi come M-D. Roland-Gosselin, padre Gabriel Picard, Léon Noël. Il realismo critico consiste nel conciliare san Tommaso con Cartesio, anteponendo alla conoscenza metafisica dell’essere un esame critico delle possibilità e condizioni conoscitive del pensiero. Considerando il realismo troppo ingenuo, questi filosofi negano l’evidenza, ritengono bisognosa di spiegazione la conoscenza dei sensi, accettano l’evidenza intellettuale dell’io penso da cui partono poi – ma senza riuscirci – per spiegare l’esistenza del reale. Essi vogliono anche trovare in san Tommaso quello che non c’è e intendono conciliare quanto è invece irriducibile, ossia realismo (partire dall’essere) e idealismo (partire dal pensiero). Questa corrente di pensiero ha influenzato la teologia contemporanea, soprattutto ponendo le basi del pensiero di Karl Rahner, che si ispira proprio a Maréchal e che ha deformato il tomismo aprendo la teologia cattolica a sistemi filosofici immanentistici. Gli errori del realismo critico, ossia le storpiature del vero realismo di san Tommaso, hanno prodotto, a lungo andare, danni consistenti. 
Per il realismo Primo in intellectu cadit ens. L’ente che viene conosciuto dall’intelletto è l’ente concreto percepito tramite i sensi: Principium nostrae cognitionis est a sensu. Oggetto della conoscenza è l’ente particolare in quanto esiste, l’existens. Tutto il resto, compresa la sua essenza, lo conosciamo dopo. Dato però, come vedremo meglio più avanti, che l’atto per cui l’ente esiste è l’atto di ogni atto, possiamo dire che nell’apprensione dell’ente come esistente c’è anche l’apprensione di tutta la realtà. Questa visione immediata è quindi di tutto l’essere, il quale è tutto presente all’intelletto anche se in modo confuso (Initium cognitionis humanae est in quadam cognitione omnium). Ciò rende possibile la metafisica, che è la scienza del reale nella sua universalità. Il filosofo Cornelio Fabro dice che: «Una esperienza metafisica confusa dell’essere è alla radice di ogni conoscenza, anche della più semplice». Si tratta di una esperienza “confusa”, ossia non categorizzata (l’essere non è ancora diviso nelle varie categorie). 
Appartiene al realismo l’ammissione delle conoscenze del senso comune. Per senso comune si intende la conoscenza naturale, spontanea e immediata, da parte del nostro intelletto, di alcune verità reali, apprese in modo implicito e non ancora riflesso, come base di ogni successiva conoscenza e riflessione. Tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro cultura, erudizione, consapevolezza, posseggono una grammatica naturale di conoscenze pre-analitiche. Esse sono concomitanti con l’apprensione dell’ente e ne scaturiscono naturalmente. Non si tratta di qualcosa di irrazionale né di prefilosofico, ma di qualcosa di già filosofico anche se in modalità implicita. Non sono a-priori, perché sono concomitanti, come già detto, con l’apprensione dell’ente come esistente e, quindi, dell’atto per cui l’ente esiste. Questo atto può essere detto “esse”, “essere”, “actus essendi”, “atto di essere”.
Le conoscenze del senso comune sono l’esistenza di un mondo di cose, l’esistenza dell’io come soggetto, il principio di non contraddizione, la libertà come causalità non causata, l’ordine finalistico e la moralità, Dio come fondamento. 
L’apprensione di un mondo di cose significa l’evidenza dell’esistenza della realtà oggettiva. Questa conoscenza riguarda tutto ciò che è e che nel linguaggio comune si chiama “mondo”.
Concomitante con ciò c’è anche l’apprensione dell’io come soggetto. Per la filosofia moderna la coscienza viene prima dell’essere. Il realismo tomista invece ritiene che la coscienza di sé non può che essere coscienza di essere, in quanto una coscienza vuota non sarebbe coscienza. Non si può avere coscienza del nulla. Non è possibile quindi derivare l’essere dalla coscienza, come vorrà fare Cartesio, ma il contrario: la coscienza stessa si fonda sull’essere. Soggetto e oggetto non sono quindi contrapposti, ma ambedue appartengono all’orizzonte primordiale dell’ente. 
Da dove ci derivano i primi principi? Secondo il realismo tomista l’apprensione dei primi principi, e in particolare di quello di identità e di non contraddizione, avviene nel momento stesso dell’apprensione intellettiva dell’ente. Nell’ente si coglie l’essere come irriducibile al non-essere, lo si coglie come non-contraddittorio e quindi si apprende il principio di non contraddizione. Impostazione diversa, come si vede, da quella di Agostino e san Bonaventura.
Il mondo viene appreso come ordinato e governato dal principio di causalità. Contemporaneamente, però, si capisce che il soggetto causa senza essere causato a sua volta da altro. Si fa così esperienza della libertà.
L’ordine del mondo è appreso come finalistico, per cui nasce la moralità come adesione a questo ordine finalistico.
Infine, all’interno di quella concezione globale e confusa dell’essere è già presente la nozione di Dio. Intuito l’essere, si conosce implicitamente anche Dio, suo fondamento in quanto l’ente mostra la propria insufficienza. Gli uomini possiedono una certezza dell’esistenza di Dio e questa conoscenza precede e motiva ogni dimostrazione rigorosamente scientifica della metafisica. Tale conoscenza di Dio, come condizione di tutto l’essere, è una conoscenza implicita in ogni altra conoscenza: “Ogni soggetto conoscente in ogni oggetto della sua conoscenza conosce implicitamente Dio”.

da Stefano Fontana La sapienza dei medievali

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