“Teologia di strada”, un avvincente saggio di Enrico Maria Radaelli

Dicono che oggi alla civiltà serve “un’idea forte di umanità per ridare sacralità alla persona“ (Marc Augé). Proprio così: idea forte di umanità, sacralità della persona: Marc Augé ha dipinto il cristianesimo aureo. (Enrico Maria Radaelli)
di Piero Vassallo (Riscossa Cristiana 3 ottobre 2016)

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Felice interprete ed originale continuatore dell’opera di padre Antonio Livi e dei professori Romano Amerio e Paolo Pasqualucci, Enrico Maria Radaelli è instancabile indagatore e critico puntuale delle alte illusioni, a monte
della slavina neoterica, vettrice dei fumosi deliri che scendono in folle e sfrenata corsa sulle piste della teologia modernizzante, prima di rovesciarsi nella liquide e quasi surreali esternazioni di Bergoglio.
Radaelli ha pubblicato recentemente un magnifico saggio controcorrente, “Street Theology – Teologia di strada”, un testo la cui lettura è suggerita ai cattolici in cerca della bussola necessaria alla navigazione nei bifidi e trifidi mari della nuova e squillante teologia.
Pubblicato in Verona dalla intrepida casa editrice Fede & Cultura, il voluminoso, esauriente saggio (scritto in una
agile, raffinata e godibile lingua italiana) disegna fedelmente il profilo sgangherato della modernizzazione, in triste corsa nelle oscure viscere di una teologia intossicata dagli errori indiavolati, squillanti nelle sontuose gallerie scavate, addobbate e flesciate dai gongolanti eredi del modernismo e – ultimamente – dai prosecutori del chiacchierato concilio Vaticano II.
A proposito dei  nuovi teologi, Radaelli denuncia i distruttori della Cristianità e cita il Salmo 73: “Hanno annientato un popolo, a milioni vengono sterminati, e intanto parlano di problemi ecologici e di misericordia mettendo sotto il tappeto, come polvere, la dottrina. … Proprio come profetizza il Salmo: Pensavano: ‘Distruggiamoli tutti’; hanno bruciato tutti i santuari di Dio nel paese”. Radaelli elenca e confuta senza riguardi i prodotti ultimi, le pessime dottrine elucubrate dal vaneggiamento teologico, emanato e gridato da ventriloqui al servizio di un buonismo concepito per rovesciare l’ecumenico diluvio delle frivolezze e degli errori sugli attoniti e sgomenti fedeli, che rimangono in imbarazzata/disagevole/dolorosa sosta nella neo chiesa di Bergoglio.
Fomite e arma del buonismo, inteso come iperconfusione mondiale, in sfrenato movimento nei testi della nuova teologia, è la paura “di dover dire qualche verità sgradevole, di quelle che da sempre non piacciono al mondo, al pensiero unico e laicista, che domina il mondo, verità che poi sarebbero le eterne verità dette e ridette dalla Chiesa da duemila anni”.
La fredda paura di dispiacere ai minacciosi erranti, al potere nel mondo moderno, ha fatto avanzare le fumose opinioni e le ritrattazioni ignobili intorno alle dottrine non cristiane, “false, vuote, carnali e fuorvianti nozioni religiose, prive di riscontri oggettivi con la realtà, che essa sia quella riscontrabile a partire dalla creazione o che sia invece quella deducibile dalla storia (scienza a posteriori) e dalle Scritture (scienza a priori)”. 
Indenne dal timore reverenziale in debilitante circolazione nel pensiero dei teologi post conciliari, Radaelli, di seguito, osa mostrare la debolezza dell’idealismo filosofico, motore instancabile dei revisionismi, che sono abbracciati disperatamente da pensatori irriducibili al realismo: “Gran fuga dalla realtà, l’idealismo. Gran fuga che pare sia riuscita a ghermire non pochi Pastori, alcuni anche sommi. Il motivo c’è, ed è che tale sistema filosofico garantisce come nessun altro l’assenza della realtà, dolosamente usurpata dalla sua idea. L’idea pensa se stessa – il cogito cartesiano – e questo pensiero, che certo è una realtà, è però solo una realtà logica, equivocata dall’idealismo per realtà vera”. 
Sbalordita dalla filosofia hegeliana e spaventata dalle sentenze del giornalismo iniziatico, la teologia progressista scende nella pista del nientismo, in cui corrono – all’impazzata – teologiche quisquilie e umilianti filosofemi. A questo punto Radaelli fa uscire dal cappello magico del compianto card. Martini, la sentenza che ha rovesciato sui fedeli lo schizo-rebus della teologia a due piste: “Ciascuno di noi ha in sé un credente e un non credente, che si interrogano a vicenda”.
Di seguito Radaelli dimostra che l’ascesa della nuova teologia al linguaggio surreale del teatro di Luigi Pirandello dipende dalla fatica assidua dei teologi modernizzanti e dalla desistenza dei pastori, due squadre “che hanno voluto fissare la forma del concilio (Vaticano II) al grado pastorale invece che al dogmatico, il che ha permesso la stesura di documenti liquidi, ossia terribilmente equivoci, costruiti a bella posta in linguaggio liquido, come illustra Romano Amerio in Iota Unum”.
Avviandosi alla conclusione del faticoso viaggio nelle desolanti bellurie della teologia buonista/novista, Radaelli cita un tagliente scritto di Sandro Magister, che svela i rovesciamenti del pensiero vaticano: “Con la Amoris Laetitia sta accadendo nella Chiesa cattolica qualcosa di simile a quanto accadde mezzo secolo fa con la Humanae vitae. A parti rovesciate. L’enciclica di Paolo VI sulla procreazione era chiarissima. Ma teologi, vescovi e conferenze episcopali dissenzienti ne diffusero interpretazioni artificiose e fumose, al fine di far apparire lecito ciò che il papa proibiva. L’esortazione postsinodale di Francesco sulla famiglia è stata scritta invece in forma volutamente vaga, consentendo a chiunque di leggervi ciò che desidera, in particolare sulla questione cruciale della comunione ai divorziati risposati”.

Oltre la coltre fumosa, sotto cui prospera la non pia illusione di Bergoglio e dei teologi novisti, Radaelli intuisce e rivendica una opposta, consolante e luminosa realtà: “Il Signore conduce e protegge sempre la sua Chiesa, per mano della Santa Vergine Maria: mai l’ha lasciata e mai la lascerà in questa santa battaglia di cui Ella è la Condottiera”.

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