Un libro denuncia la morte interiore dell’uomo occidentale


Un uomo, un padre, un giornalista. Nathaniel Delaney, proprietario e redattore del giornale locale The Echo, diventa l’inconsapevole voce di quel piccolo resto che è rimasto vigile di fronte alla deriva sottilmente totalitaria del mondo attorno a lui.

Delaney non è caduto nell’intorpidimento che ha colpito l’uomo occidentale, in quella morte interiore che un ex professore dell’Istituto d’Arte di Mosca, perseguitato dal Kgb e fuggito dall’Unione Sovietica, rimprovera, nel romanzo, al nostro popolo: “Laggiù ti uccidono, ma qui ti uccidono il cuore. Siete già morti, siete un popolo morto”. Parole che il protagonista così commenta in un articolo del suo giornale: “Quell’uomo ha dato voce a quella che è la sensazione della maggior parte degli artisti espatriati che conosco: sentono che la gente dell’Occidente è diventata in generale incapace di capire ciò che viene detto loro. Ascoltiamo senza intendere, guardiamo senza vedere”. Non siamo più in grado di comprendere la realtà, di cogliere il vero, amare la bontà, godere della bellezza: tutto è sepolto sotto innumerevoli stratificazioni ideologiche.

Resi ciechi ai classici universali, ci è ormai impossibile decodificare i segnali della decadenza e del più grande totalitarismo che la storia abbia mai conosciuto; anzi, “quest’uomo nuovo anela alla decadenza dell’Occidente come se i nostri giocattoli e le nostre droghe fossero icone di libertà”. Quest’uomo, forgiato secondo il nuovo umanesimo, “illudendosi di essere libero, è in realtà la vittima più tragica dello spirito del totalitarismo globale”.

Il romanzo di Michael D. O’Brien, pubblicato nel 1999 con il titolo Plague Journal e finalmente tradotto in italiano da Fede & Cultura (con il titolo: Il diario della peste), anticipa di vent’anni quegli avvertimenti di uomini fuggiti dai paesi ex-sovietici, cui Rod Dreher, nel suo ultimo saggio Live not by lies, ha voluto dare voce. Per loro è evidente quanto noi non riusciamo ancora a vedere: sotto la copertura dei nuovi diritti, l’uomo occidentale è divenuto schiavo e si appresta ad entrare nella peggiore tirannia possibile, quella che porta ad amare le proprie catene, ad osannare i propri aguzzini, ad attendere come liberatori gli stessi artefici dei nostri mali.

Una tirannia che prende potere insinuandosi nella nostra interiorità, mediante una propaganda martellante e insidiosa, che ha forgiato la nuova umanità a partire dall’immaginario dei bambini, violentato e mortificato da narrazioni, immagini e giochi preconfezionati. E lui, Nathaniel, da padre, ha compreso di dover difendere i propri figli, andando controcorrente, leggendo loro fiabe dove i draghi rappresentano il male, quel male che va combattuto e non accettato in nome di una inclusività suicida: “Era bello che [i bambini] avessero paura dei draghi, poiché temendo impararono a vincere la paura con il coraggio. I draghi non possono essere domati ed entrare in dialogo con loro è fatale. Le vecchie storie lo hanno insegnato ai nostri figli. Al contrario, le nuove storie erano decisamente a favore dei diritti civili dei draghi e incoraggiavano percezioni che erano in realtà una forma di antica neolingua”.

Riflessioni, avvertimenti, provocazioni che provano a rallentare una trama narrativa che corre veloce, tremendamente avvincente da spingere a divorare il libro in meno di quarantott’ ore.

Non si può svelare il finale di un libro in una recensione; ma la formazione profondamente cattolica dell’autore non poteva limitare la buona battaglia ad un meccanismo di azione e reazione culturale, ad una gnosi da contrapporre ad un’altra gnosi. La redenzione, la vera liberazione per sé e per i propri cari, deve passare dalla conformazione a Cristo nella sua Passione; nell’accettare di portare su di sé il peso del mondo, fino a rimanerne schiacciati; nell’aprirsi ad un perdono dei propri nemici e dei propri amici traditori, proprio nel momento in cui si comprende che è giunto il momento di dare la vita.

Luisella Scrosati, La Nuova Bussola Quotidiana




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