Povertà nella compiacenza di sé

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"Al Sacerdote non è concesso, per diritto divino, darsi arie compiacenti. Niente lamentele, nessuna vanteria sul nostro talento amministrativo, nessun pensiero come questo: ' Ho costruito una Scuola Superiore: ora il Vescovo dovrebbe farmi monsignore'. Nel momento in cui ci compiacciamo per ciò che abbiamo fatto, l'opera ci si sciupa nelle mani. Se siamo servi immeritevoli quando abbiamo fatto del nostro meglio, che cosa siamo allorché abbiamo tralasciato quanto dovevamo? Diventiamo persino immeritevoli persino di essere i suoi servi, i suoi Sacerdoti. Unicamente al nostro Redentore spettano il merito e la gloria dei nostri ministeri: a noi non spettano che la gratitudine e l'umiltà di essere dei ribelli perdonati".

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