Iota unum: profetico

Trascrizione degli interventi di Camillo Fornasieri, Giovanni Zenone, S.E. Mons. Luigi Negri alla presentazione di Iota Unum di Romano Amerio al Meeting di Rimini 2009

Trascrizione della registrazione non rivista dai relatori


CAMILLO FORNASIERI:

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Chiamo Giovanni Zenone e monsignor Luigi Negri, per il terzo e ultimo incontro di presentazione dei libri. Prego di accomodarsi, anche quelli che sono in fondo…
Bene, presentiamo un libro edito da pochi mesi dalla casa editrice Fede & Cultura, di cui abbiamo qui il direttore. Il libro è di Romano Amerio e si intitola Iota Unum. Studio delle variazione della Chiesa Cattolica nel XX secolo. Ha la presentazione di Sua Eccellenza Monsignor Luigi Negri, che abbiamo qui tra noi. Salutiamo Sua Eccellenza e poi anche il nostro direttore. È un autore che forse per la maggioranza di voi non ha eco, non ha sentore, Romano
Amerio, morto nel 1997 e nato nel 1905. Un filosofo e filologo di Lugano, il più rinomato filosofo e teologo svizzero, che ha insegnato nell’università Cattolica in un’epoca molto ricca e intensa di maestri (Sofia Vanni Rovighi, Bontadini). Questo libro è una meticolosa raccolta di documenti e osservazioni riguardo a tutte le parole chiave, a tutte le riflessioni ecclesiali che la chiesa ha fatto su di sé in rapporto al suo messaggio, alla sua tradizione, al suo portato e al suo rapporto con il mondo, con l’uomo, con la società. Ritornano i temi che abbiamo trattato alla presentazione del libro di Tornielli dedicato a Paolo VI: un tempo di grande riforma, in cui cioè ridare forma al contenuto della fede, perché diventasse esperienza per gli uomini. E in questa riflessione, in questo tentativo, la presenza di molte spinte, e anche di molte derive. Romano Amerio, spinto da una passione che un brevissimo scritto di don Dino Barsotti mette in luce, aveva il carisma, il dono di custodire l’interezza del fatto cristiano e li pone nelle pagine di questo libro corposo, imponente nel suo spettro di indagine, ma anche molto leggibile, molto fruibile per capire quale consapevolezza ha portato la Chiesa e come sia stato un lavoro continuo, dove tutti gli elementi di rischio hanno potuto trovare una sintesi, una possibilità di valorizzazione, nell’alveo di una comunione e di una conoscenza che mette insieme, non a partire dal proprio spunto intellettuale o teologico. Io non voglio protrarmi oltre. Chiedo al direttore della casa editrice di presentarci un po’ la figura di Amerio, collocarla meglio di come ho fatto io, più precisamente, e soprattutto di inserire quest’opera, Iota Unum, a partire dal senso del titolo.



GIOVANNI ZENONE:

Il titolo di questo libro è tratto da un brano del Vangelo di Matteo, laddove Gesù dice: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge e i profeti: non sono venuto ad abolire ma a dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota (Iota Unum) o un segno della legge senza che tutto sia compiuto”. E Romano Amelio, in quest’opera veramente monumentale ma godibilissima, scritta in un italiano splendido - era un filologo straordinario e credo sia uno degli ultimi scrittori in italiano della storia d’Italia -, mostra come forse un po’ più che uno iota sia stato trasgredito. Ci sono state variazioni, non tanto nel comportamento morale dei cristiani o degli uomini di chiesa, quanto nella dottrina. Una cosa molto importante che fa notare -sto rubando il mestiere a monsignore, facendo la parte teologica -, è che la chiesa è venuta a portarci la verità, non a darci un esempio di come la verità si possa eseguire perfettamente, perché solamente Gesù Cristo e la Madonna l’hanno vissuta compiutamente. Ma la chiesa ha il grande compito di annunciare la verità nella sua integrità. Poi, viverla fino in fondo è affidato alla nostra risposta a questa chiamata. Allora, Romano Amerio: cosa posso dire di lui? Che fu un grande filosofo, un grande filologo e che gran parte della sua vita, oltre che a studi di letteratura, la dedicò a raccogliere questi documenti e commenti in cui, citando con una acribia filologica straordinaria documenti, dichiarazioni e via di seguito, fa vedere come delle deviazioni, a volte consistenti, ci siano state. Ma la cosa che mi ha entusiasmato, e mi entusiasma ogni volta che prendo in mano Iota Unum - che ho conosciuto un po’ di anni fa, nella terza edizione che era della gloriosa casa editrice Ricciardi di Napoli, ormai fallita -, è il grande amore alla chiesa. Perché io ho desiderato che questo libro fosse pubblicato con grande rigore, con la prefazione di monsignor Negri? Perché vedere la chiesa, vederne anche le rughe, è qualcosa che è lecito se si ama la chiesa: altrimenti, si usano questi difetti, queste rughe (che in realtà sono proprie a tutti noi) per dare un colpo alla Chiesa, e questo non mi va! Leggendo questo libro, ogni volta mi emoziono nel vedere questo amore alla chiesa, questa bellezza: essere cristiani e vedere la grandiosità della dottrina, la grandiosità di ciò a cui siamo chiamati e anche le debolezze, suscita entusiasmo, suscita amore, suscita gioia. E chi vede questo si entusiasma e desidera essere cristiano. Se proponiamo invece un cristianesimo annacquato, a misura del mondo, a misura della debolezza umana, basta essere semplicemente del mondo, non suscita nessun fascino. Però io adesso devo interrompermi perché una hostess del Meeting mi ha portato a vedere la bellissima mostra Masaccio, Beato Angelico e Piero della Francesca, che vi invito a vedere. Ad un certo punto, ho incontrato una frase dell’Imitazione di Cristo, il libriccino che Paolo VI teneva sul comodino prima di andare a letto, per leggerlo e riflettere. E ho trovato quello che fa al caso nostro, vi leggo poche righe: “Lascia le novità ai vanesi, ai vanitosi, tu invece attendi a quelle cose che ti comanda Dio. Chiudi la tua porta dietro di te e chiama il tuo diletto Gesù, rimani in cella con lui, perché non troverai altrove tanta pace. Se non ne fossi uscito e non avessi udito nulla dei rumori del mondo, ti saresti mantenuto meglio in buona pace”. Si potrebbe dire che il succo di Iota Unum è questo: lasciamo da parte le cose nuove, i novatores, coloro che si vogliono inventare una nuova chiesa, che dal post Concilio in avanti - ma in realtà i semi malvagi c’erano anche prima - hanno voluto inventarsi una nuova chiesa. Ma la Chiesa non c’è bisogno di inventarla, l’ha inventata Gesù Cristo! L’unica cosa che noi possiamo fare è dire sempre le solite cose, cioè l’unica dottrina salvifica, in modo nuovo. Ho ancora qualche minuto per dire mezza parola? Sì? Purtroppo, però, in questo libro, Romano Amerio ci fa vedere come la categoria delle nova, le cose nuove, il progresso, sia entrata non solamente nel mondo ma anche dentro la chiesa, da cui questa mania di cancellare in un colpo di spugna il passato, come se il passato fosse qualche cosa di cui vergognarsi. Ma avere questa nozione, dice Romano Amerio, capire che la categoria di progresso, che per il mondo è una cosa buona, una cosa bellissima, per noi invece è una catastrofe - usa questo termine, come lo usa Del Noce - è già una affermazione che discende dalla fede perché le cose nuove, le ultime che ci possono essere nella chiesa, sono la fine del mondo, il giudizio, l’inferno e il paradiso. Questo libro ci aggancia in maniera veramente straordinaria al titolo del Meeting di quest’anno: “La conoscenza è un avvenimento”, perché conoscere è incontrare qualche cosa che è dato come dono, non una nostra creazione, come una parte della filosofia ha voluto proporre al mondo moderno. Ebbene, incontrare la verità - e la verità è una persona, Gesù Cristo - è il più grande avvenimento della storia, è il centro della storia. Intorno a questo centro gira non solamente la vita dell’universo intero, ma anche la mia vita, il mio lavoro di insegnante e di direttore di una casa editrice. Io desidero che sia anche il centro per ciascuno di noi che siamo qui e per quelli che sono fuori. Voglio concludere con una brevissima citazione di Romano Amerio: “La chiesa è santa non perché possa esibire nel corso della sua storia una irreprensibile sequela di azioni conformi alla legge evangelica…, ma perché può allegare una ininterrotta predicazione della verità. La Santità della Chiesa è da ricercare in questa, non in quella”. La chiesa è la nostra mamma ed è la sposa di Gesù Cristo: io vi propongo di riscoprire questa nostra mamma, questa sposa di Cristo, nella sua bellezza sfolgorante, non intaccata da alcuna macchia morale, che è la presentazione di quella meraviglia che è la verità, che è nostro Signore Gesù Cristo. Grazie.



CAMILLO FORNASIERI:
Se abbiamo intuito lo sfondo del carisma di Amerio e del contenuto di questo libro, si potrebbe tentare di entrare più dentro alla preoccupazione che lo muoveva e che trova anche, in molte pagine del libro, alcuni atteggiamenti post conciliari, alcuni accenni dei documenti che hanno preparato il Concilio, un’attenzione precisa e puntuale che si sofferma sulle parole che indicano un’esperienza. Credo che questo libro sia di grande attualità: forse monsignor Negri lo accennerà, in quanto anche Benedetto XVI dice, riguardo a quel periodo della vita della chiesa, come le diverse tensioni all’interno della chiesa debbano trovare nel giudizio della fede e nell’amore a Cristo un punto di unità e di sintesi.

S. ECC. MONS. LUIGI NEGRI:
Quando mi hanno proposto di fare la presentazione di questo libro, che avevo cercato per decenni e non ero mai riuscito a trovare, perché forse la casa editrice Ricciardi è fallita perché prendevano il libro e lo distruggevano notte tempo per impedirne la distribuzione, ho chiesto che titolo aveva l’introduzione? L’avevo conosciuto, era un grande amico, ma mi sembra che l’unica ragione sia quella che accomuna me a molto altri che sono qui, innanzi tutto a monsignor Filippo Santoro. Noi siamo stati sistematicamente attaccati da destra e da sinistra, non c’è mai stato un periodo della nostra vita in cui la sinistra politica e la destra politica, la sinistra ecclesiale e la destra ecclesiale non abbiano fatto di noi un punto di riferimento polemico, fisicamente e anche moralmente. Ci sono dei silenzi, delle insinuazioni e degli attacchi intellettuali e morali che sono peggio di quando ci dovevamo difendere andando davanti all’università e alle scuole, mettendo un’anima di ferro sotto la coppola perché si rischiava di prendere qualche sprangata. Ho evocato queste cose non per modo di dire ma per capire, per entrare nel vivo di questo testo, che è certamente l’espressione di uno dei più grandi uomini di cultura del XX secolo. Nella prefazione ho citato Giovanni Paolo II, che ha definito Von Balthasar il più grande colto del nostro tempo. Secondo me, per quanto riguarda il contesto Italiano, certamente Amerio è indicato ad assumere questa posizione. Prima osservazione delle tre che farò velocemente. Il problema è che, non soltanto dal Concilio in poi, ma certamente dal Concilio in poi, la destra e la sinistra valgono più della fede. Quindi, l’essere di destra o l’essere di sinistra, a livello intellettuale, a livello pastorale, a livello di posizioni della chiesa, di funzioni e di responsabilità, a livello di idee e di amici, conta più della fede. E questa è la rovina della destra e della sinistra, perché fanno diventare secondario il valore che tutte le destre e tutte le sinistre devono servire, se per destra o per sinistra si intendesse un certo modo di reagire, un certo modo di percepire la fede, un certo modo di giocarla dentro il mondo, un certo modo di percepire la missione! Ci devono essere sante destre e sante sinistre perché, ci ha insegnato sant’Agostino, la chiesa è una circumdata varietate, in cui esiste una varietà pressoché infinita di formulazioni. Ma le proprie opzioni prevalgono sulla fede, quando la propria posizione, la propria concezione, magari il proprio ruolo, il proprio interesse o le proprie consorterie sono più importanti della fede. Credo che questo sia stato l’errore, o se volete l’orrore, del post Concilio. Perché ci si è avventati su questo evento e quindi sulla realtà in cui questo evento si comunicava - un Concilio si comunica attraverso le definizioni, gli interventi, le decisioni -; ci si è avventati su questi documenti, ciascuno cercando di scorporare dalla vastità dello stesso documento quello che interessava, tacendo alcune cose, sottovalutandone altre, esasperando alcuni aspetti, addirittura modificando le citazioni bibliche in funzione della propria ideologia. Romano Amerio ha fatto uno straordinario lavoro, per cogliere, punto dopo punto, situazione dopo situazione, quelle che ha chiamato le variazioni. Non ha implicato un giudizio tassativo su queste variazioni. Alla fine di questo volume, si potrebbe dire: è una grande fenomenologia di ciò che è mutato, di ciò che sta mutando, di quanto si è lavorato perché mutasse. Ma diciamolo chiaro, alla seconda edizione di questo volume: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI concordano in qualche modo con Amerio nel dire che il problema del Vaticano II è davanti a noi. È davanti a noi come un fatto obiettivo, che deve essere compreso oggi, che deve essere interpretato autenticamente oggi, sul quale ci si deve misurare, non per le opzioni di destra o di sinistra, ma per ciò a cui ogni evento ecclesiale deve tendere: il rinnovarsi della fede, della speranza e della carità, e quindi della missione. Ho visto e vedo questo documento come uno strumento importante per il nostro problema oggi di comunità ecclesiale. Secondo. Che cosa è stato il Concilio? Perché ciascuno ha detto del Concilio quello che ha voluto, tutto e il contrario di tutto. Io voglio ricordare quell’espressione straordinaria che ha usato Giovanni Paolo II intervenendo a quel convegno fatto per il ventennale del Concilio Vaticano, quando disse: “Abbiamo raccolto quella sfida”. La sfida consisteva nell’impegno di comprendere più intimamente, in un periodo di rapidi cambiamenti, la natura della chiesa e del suo rapporto col mondo. Il problema del Concilio non è conoscere il mondo, era maturare l’identità ecclesiale e rinnovare, a partire da questa coscienza nuova dell’identità ecclesiale, una nuova missione. E si prese anche il gusto, Giovanni Paolo II, di aggiungere: “Abbiamo raccolto quella sfida (c’ero anche io fra i padri conciliari!)”, perché qualcuno non pensasse che parlava del Concilio senza averlo patito e sofferto. “E vi abbiamo dato risposta cercando una intelligenza più coerente della fede. Ciò che abbiamo compiuto nel Concilio è stato di rendere manifesto che anche l’uomo contemporaneo, se vuol comprendere se stesso fino in fondo, ha bisogno di Gesù Cristo e della sua chiesa, la quale permane nel mondo come segno ci unità e di comunione”. Il progressismo non ha mai voluto questo, ha voluto un dialogo col mondo che ipostatizzava il mondo nelle sue tendenze, nelle sue tensioni, nelle sue lacerazioni, che qualche volta sono state addirittura riconosciute come valori ecclesiastici. Ci sono pagine straordinarie sulla variazione che c’è stata della considerazione, per esempio, dei giovani: la chiesa e i giovani, la chiesa e la vita ecclesiale, la chiesa e i seminari, la chiesa e la formazione del clero. Il progressismo voleva il mondo, non la chiesa, e la chiesa in quanto accettava di sciogliersi nel mondo. Ma per altro, il tradizionalismo non voleva Cristo, voleva una certa forma in cui la tradizione ecclesiale si era espressa in un certo momento: e quello era più importante della fede. Salvare le forme, salvare certi contenuti, salvare certi modi di rapporto fra le chiese al mondo, era più che il fatto che la Chiesa riprendesse il suo cammino verso l’uomo. Non era né da una parte né dall’altra. Era chiaro che se l’uomo di oggi vuol comprendere se stesso fino in fondo, deve riferirsi a Cristo e alla chiesa nella quale Egli rimane, che permane nel mondo come segno di unità e di comunione. Dunque, vivere e interpretare il Vaticano II oggi, riprendendo questa intuizione fondamentale, e quindi andare fino in fondo in quella logica, in quella ermeneutica di continuità secondo la grandissima intuizione della tradizione della Chiesa. Credo che, fra tutti, il più significativo in questo senso sia il beato cardinale Newman: non esiste niente di nuovo che non sia l’approfondimento e la ripresa di ciò che è dato. Giovanni Paolo II, arcivescovo di Cracovia, alla fine del Concilio promuove un sinodo sulla conoscenza ed attuazione del Concilio e lo intitola Istrumentum Laboris, scritto da lui dalla prima all’ultima parola, “riforma nella tradizione”. Questo è il compito che abbiamo. Amerio ci dà materiale per questo, ci dà una grandissima suggestione: e siccome non è un uomo di chiesa in senso stretto, siccome non è un teologo in senso stretto - come ho notato nella prefazione, in questo enorme volume ci saranno due, tre, cinque espressioni non sbagliate ma un po’ troppo vivaci - ci fa capire cosa è accaduto, quali sono i pericoli che abbiamo corso, quali sono i pericoli che corriamo adesso, qual è il modo di uscirne e di uscirne recuperando quel rapporto fra Cristo e il cuore dell’uomo in cui consiste l’evento della redenzione. Soprattutto ci fa riscoprire che la chiesa, come ci ha insegnato Giovanni Paolo II, vive nel mondo per rendere possibile ogni giorno questo incontro fra Cristo e il cuore dell’uomo. Quindi, uno strumento che può servire egregiamente a vivere il compito di oggi, avviare finalmente, dopo più di quarant’anni, una ermeneutica oggettiva, positiva, realistica dentro l’amore alla Chiesa che per noi, almeno per noi, è più forte delle nostre idee, delle nostre opzioni e anche delle nostre amicizie ecclesiastiche o sociopolitiche. È per uomini così che Iota Unum vale, è per gente che ama la chiesa più di se stessa e che perciò, se in qualche modo deve individuarne qualche limite, non lo fa perché questi limiti vanno contro le mie opinioni, ma perché questi limiti tendono a ridurre la sua capacità, la capacità della chiesa di essere realmente presente al mondo e attiva nella sua missione. Fra i molti temi che emergono con assoluta chiarezza e con una grande profeticità, c’è l’inizio della raccolta di questa documentazione immensa: non c’era Internet e non c’erano i mezzi della tecnologia moderna. Amerio si è raccolto queste frasi, questi spunti, cominciando dal 1930, quando l’unica tecnologia erano le schedine delle biblioteche e occorreva ricopiarsi a mano le citazioni interessanti. Io ho visto il suo studio qualche anno prima che morisse: un cantiere per la costruzione del Duomo di Milano era nulla in confronto a quello che si vedeva di carta, di scartoffie e quant’altro. Ci sono due temi: il primo è quello che è tornato prepotentemente di attualità, il tema di oggi: il nesso verità e carità. Amerio ha visto con chiarezza che si affermava una tendenza a sostenere la verità senza la carità: e una verità senza la carità è una ideologia, una ideologia religiosa che serve a tutte le destre ecclesiali e politiche. Perché l’ideologia religiosa, affermando di essere ideologia, entra in competizione con le ideologie del mondo e tutto sommato fa la fine che fanno tutte le ideologie di questo mondo, viene sconfitta dall’ideologia più forte. Ma ha anche capito con estrema chiarezza che una carità senza la verità diventava un buonismo, un moralismo, la consegna a noi di certi spazi che la società, soprattutto la direzione laicista ed anticattolica, non vuole più assumersi e che così noi riempiamo al suo posto, un’autentica e vera “croce rossa” della società. Prendo questa espressione dal cardinal Carlo Maria Martini, che perciò dimostra un’ampiezza e una capacità di valorizzazione ignota ai più. Il cardinal Martini, ad una assemblea della Caritas italiana a cui ero presente, dice: state attenti, perché se non informate la vostra azione alla verità diventate la Croce Rossa della società. Quando uno è in strada e succede un incidente, se sente che arriva la Croce Rossa va via tranquillo, perché qualcuno ci pensa. Verità e carità, in questo nesso inscindibile, sono il problema della nostra identità e della missione oggi. Perciò, rileggere queste pagine insieme al magistero attuale, che certamente ha una precisione, una forza, una capacità di determinazione più grande, è assumersi un compito culturale di primissimo piano. Se la nostra comunità ecclesiale perde la sinergia, la circolarità attiva fra carità e verità, umanamente parlando è finita: l’ideologia religiosa può illudersi di incidere perché ha qualche polemica. La carità senza verità può illudersi di risolvere un problema, un altro e un altro, continuamente ricattata dai problemi e continuamente giudicata dagli esiti, perché una carità di tipo mondano deve misurarsi sui problemi e deve risolverli secondo quello che vuole la mentalità dominante. Una presenza cristiana così è destinata ad essere inincidente. L’altro tema è il tema dialogo e missione. Mi dispiace per la maggior parte dei critici di Iota Unum, ma Romano Amerio, immediatamente dopo la fine della seconda guerra mondiale, denunziò che il pericolo verso il quale si camminava nel mondo ecclesiastico era la contrapposizione astratta di missione e dialogo. Cominciò allora, in certe interpretazioni postconciliari, quel dialogo che divide quasi come una lama la chiesa in capite et in membris, una divisione e contrapposizione astratta. Il problema non è missione o dialogo, è missione e dialogo, perché l’impegno effettivo della missione, come testimonianza di fronte al mondo della novità cristiana, diventa capacità di dialogo, capacità di incontro, capacità di confronto e anche capacità di giudizio, perché di fronte alla verità che è Cristo si può attenderla, si può seguirla e si può negarla. Nella misura in cui la si nega, il nostro dialogo non può non mettere in evidenza che quell’errore deve essere obiettivamente condannato. Basterebbe avere indicato con chiarezza quarant’anni fa, insieme a molte altre cose che forse non hanno tutte lo stesso valore, che forse sono un po’ diseguali, che su questi due punti la comunità cristiana, o lavora oggi in profondità, recuperando l’autentico insegnamento conciliare, oppure vive una fase che, umanamente parlando, è così grave che si fa fatica a pensare che se ne possa uscire se non a prezzo di gravissime prove. La prima e la più importante di queste prove è quella che attraversa la vita della chiesa in questi ultimi decenni, in queste ultime settimane, in queste ultime ore: si chiama, mi spiace dovervelo ricordare, martirio. Perciò siamo grati a Romano Amerio di aver indicato questi due temi, perché ci dà in mano, attraverso questa riedizione, uno strumento non da appoggiare incondizionatamente - ogni libro è datato, l’età di questo libro indica che alcune parti sarebbero completamente da riformulare -, ma uno strumento propositivo, uno strumento stimolante per la nostra responsabilità di oggi e per il domani. Vivere la nostra chiesa come un evento entro il quale l’uomo, anche di questo tempo, può incontrare il Signore Gesù Cristo, e quindi il senso profondo della sua vita. L’ultima vicenda è un breve aneddoto, ma anche questo interessante in questo mondo di populismo, di pauperismo, di difesa degli umili, eccetera, che ormai, siccome uno ha detto: parliamo dei poveri, siamo a posto. Parliamo dei poveri, così possiamo non occuparcene più, come diceva un mio quasi nonagenario parroco qualche anno fa. Parliamo dei poveri, ne parliamo così tanto che possiamo non fare più niente per loro. Romano Amerio è stato per decenni e decenni professore di storia e filosofia nell’allora prestigioso, adesso, credo, un po’ meno, liceo cantonale di Lugano, che era qualcosa di analogo all’università Cattolica, un luogo di formazione. Viveva in una villa splendida sul lago. Ormai era quasi alla fine della vita, aveva perso quasi completamente la vista: quindi, parlammo del nostro comune amico Campanella, Tommaso Campanella, che avevo imparato a leggere dai suoi scritti. A un certo punto mi disse: “Vede, professore, arrivato alla fine della mia vita, ho fatto una cosa che nessuno capirà e nessuno ricorderà, ma è il cuore profondo del modo con cui ho concepito la mia vocazione di insegnante”. Aveva aperto la sua sterminata biblioteca al servizio della comunità civile di Lugano. Da allora, tutti i laici, cattolici e non, di Lugano, ebbero a disposizione, oltre alle biblioteche cantonali civili, anche la biblioteca di Romano Amerio. Aveva fatto costruire un accesso alla villa, alla casa, che potesse essere utilizzato senza entrare nell’ambito di quella che adesso si chiama la privacy. Io non so se questo non sia uno dei più consistenti aiuti ai poveri di oggi, perché tra le più povertà più dolorose della nostra società c’è la povertà intellettuale; e lavorare perché questa povertà intellettuale finisca, è certamente di enorme importanza, anche dal puro punto di vista caritativo. Grazie.


CAMILLO FORNASIERI:

Grazie a monsignor Negri. Si capisce che le parole che ha detto, che bene esprimono tutta l’ampiezza e importanza di questo libro, nascono da un’esperienza che ha attraversato le vicende di cui il libro tratta, e che parla qui al Meeting con una maturità, grande capacità di valorizzazione e di certezza. Grazie ancora a tutti voi. Monsignor Negri forse accetta di firmare qualche copia del libro.

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