Missione e accoglienza. Le due anime dell’evangelizzazione

di Giovanni Cavalcoli
Il Santo Padre ha di recente trattato del tema dell’evangelizzazione con un gruppo di superiori maggiori dei religiosi, usando della distinzione fra “centro” e “periferia”. Prendo spunto dal discorso del Papa per un ampliamento che mi pare possa essere utile.Il cristianesimo nella sua storia si è espanso secondo due metodi fondamentali: l’andare e il ricevere, il movimento e la stabilità, la missione e l’accoglienza, dal centro alla periferia, dalla periferia al centro. Sono i due moti fondamentali dello sviluppo e della crescita
della vita e, come si sa, il cristianesimo è suprema vita umana e partecipazione della vita divina.Infatti il vivente conquista il reale che lo circonda, se la sua costituzione è sana e robusta o in altre parole il centro raggiunge la periferia, se esso ha vera forza propulsiva, altrimenti si ferma a metà strada: è noto che un organismo vecchio o malato va meno lontano di quanto può fare un giovane. Così pure un organismo giovane sa attrarre a sé cose da una periferia più lontana di quella che possa essere raggiunta da un vecchio o da un malato. Un ragazzo coglie un frutto arrampicandosi su di un albero; un anziano deve accontentarsi della frutta che gli è servita a tavola.Così nell’apostolato: si svolge un’opera efficace alla periferia non standosene solo alla periferia come se dovessimo trovare solo lì le ragioni del nostro apostolato, ma saremo tanto più efficaci nel nostro lavoro alla periferia, quanto più avremo tratto forza dal centro e faremo capo al centro. Cristo è il Centro: il mondo è la periferia. È dopo e in quanto siamo stati con Cristo che avremo modo di evangelizzare la periferia donando ad essa quel Cristo che abbiamo incontrato al centro.Cristo indubbiamente manda gli apostoli, che significa appunto “mandati”; ma li manda solo dopo che essi hanno accolto gli insegnamenti del Maestro: è impossibile evangelizzare, se non si è stati prima evangelizzati, se non si è accolto il predicatore della Parola di Dio. Ma anche coloro che vanno ad annunciare il Vangelo, dove vanno? Da chi vanno? Evidentemente là dove suppongono di poter essere accolti o addirittura là dove sono stati invitati per apprendere la Parola di Dio, da dove poi partire per evangelizzare altre terre. L’annuncio del Vangelo non richiede pressioni o invadenze. Non si tratta di importunare nessuno o di insistere con indiscrezione, come fanno i Testimoni di Geova, ma di proporre con garbo, discrezione e persuasività, facendo appello alla coscienza e andando incontro ai bisogni reali della gente, anche se certo bisogna far capire la serietà dell’annuncio che mette in gioco il destino eterno dell’uomo, sì che non appaia una specie di optional o un messaggio pubblicitario come un altro.Di nuovo, dunque, il tema dell’accoglienza. Essa gioca anche in senso negativo: se in una città il predicatore non è accolto, deve andare in un’altra. Dunque intanto vediamo che se indubbiamente l’andare ha un primato sul ricevere, in quanto tocca il primo annuncio, in ogni caso non si può separare dal ricevere o perché lo presuppone come condizione della sua possibilità (luogo di partenza) o perché lo comporta come condizione della sua realizzazione (punto di arrivo).Il predicatore non costruisce da zero. Senza arrivare alla tesi esagerata e quindi sbagliata di Rahner, secondo il quale il predicatore non insegna nulla di nuovo ma solo conduce l’evangelizzando a prender coscienza di ciò che già sa nell’“esperienza trascendentale”, è certamente vero che la novità evangelica attiene a misteri soprannaturali che la mente umana non può da sé immaginare né quindi desiderare, ma la verità evangelica non è d’altra parte che in linea con quel vero che già la ragione naturale è capace da sola di scoprire e perseguire. Si tratta di nuove verità, ma sempre di verità si tratta.Così pure la teoria agostiniana del “Maestro interiore”, per la quale l’apostolo non comunica nulla dal di fuori, ma è il discepolo che in occasione dell’annuncio fatto dal predicatore, avverte Cristo Maestro interiore che lo illumina e lo istruisce sulla verità. Ciò vuol dire togliere consistenza alla mediazione dell’apostolo.È vero che in ultima analisi è Cristo che annuncia Se stesso, ma pur sempre per la mediazione reale, concreta ed efficace del predicatore, benchè come semplice causa strumentale e seconda, della conoscenza del Vangelo da parte dell’evangelizzando. E perché ciò avvenga è evidente che l’apostolo deve andare “in tutto il mondo”, deve farsi sentire, se non fisicamente di persona, almeno con mezzi tecnici, che oggi abbondano, per cui da una sede fissa si può trasmettere in tutto il mondo, come per esempio in internet. Indubbiamente i moderni mezzi di comunicazione non possono assolutamente sostituire la presenza fisica del missionario in periferia, se non altro per il fatto che tale presenza è necessaria per la sacramentalizzazione.In secondo luogo, la missione ad gentes ha bisogno, oltre che di un centro formativo e di preparazione accurata, anche di un centro propulsivo e direzionale per determinare il personale, i mezzi, i metodi, i luoghi e i tempi della missione, verificare l’andamento del lavoro missionario, sostituire i missionari non più efficienti, fare da punto di riferimento per gli evangelizzatori in missione.Indubbiamente il centro non deve trasformarsi in un centro di potere, di strutture sclerotizzate o di elaborazioni a tavolino o d’inutili astratti piani, che poi non servono o sono controproducenti o in una comoda sede burocratica lontana da rischi e pericoli. Per evitare questa perdita di contatti del centro con la periferia, un espediente utile almeno in certi Istituti può esser quello di un continuo scambio di personale tra centro e periferia, come notai per esempio quando lavoravo in Segreteria di Stato, dove continuamente c’era uno avvicendamento di personale tra membri dell’ufficio e personale che veniva inviato alle rappresentanze pontificie in tutto il mondo o da esse proveniva.Si va dunque nella periferia, ma partendo da un centro e tenendo continuamente contatti col centro, altrimenti si rischia di diventare dei girovaghi o degli spiantati o delle canne sbattute dal vento, dei clerici vagantes, che cadono sotto l’influsso di forze equivoche o dannose, che inquinano la verità evangelica unica e universale che viene appresa nei centri missionari.In periferia certo si è a contatto diretto con la gente, si vedono i bisogni reali, si agisce con efficacia. Ma tutto ciò, se non è congiunto nell’anima dell’evangelizzatore col contatto con i superiori e collaboratori del suo centro direzionale, soprattutto col centro dei centri che è Roma, porta l’evangelizzatore a una linea di azione individualistica e al rischio di correre invano o batter l’aria per non dir di peggio. Vediamo l’esempio di Paolo, che si premura di tenere i contatti con Gerusalemme, per assicurarsi di insegnare il vero Vangelo e non delle idee proprie, anche se belle e indovinate.Ma la periferia non è solo un orizzonte spaziale; la periferia sono anche i lontani spiritualmente che vivono ai margini della Chiesa o in situazioni di smarrimento o sofferenza e a questo punto possono vivere anche a Roma, mentre può essere di più in comunione con la Chiesa un contadino della pampa argentina o un pigmeo della foresta africana.Si evangelizza inoltre non solo andando ma anche accogliendo e stando al centro. Forse che non evangelizza il Papa stando a Roma? Forse che non evangelizza la Curia Romana? Forse che non evangelizzano il vescovo o il parroco stando in diocesi? Per questo, evangelizzano anche i monasteri, i santuari, le case per esercizi spirituali, i seminari, le scuole cattoliche, le facoltà pontificie. Evangelizza la madre stando a casa con i suoi figli. Evangelizzano gli eremiti dalla loro solitudine accogliendo i pellegrini e i visitatori. Evangelizza la vecchina ospite di una casa di riposo. Avviene come nei buoni ristoranti, i quali si fanno una fama di trattar bene gli avventori fornendo ottimi pasti e buon vino, sicchè essi fan del bene e rallegrano la gente non con l’andare ma con l’attirare.Indubbiamente l’andare riguarda soprattutto la prima evangelizzazione, il primo annuncio, mentre di norma il centro porta a perfezione e compimento l’opera iniziata alla periferia, ma non necessariamente; dipende da come il centro imposta il lavoro missionario. Occorre che esso abbia una vasta e profonda apertura umana, sappia dialogare con tutti, accolga le istanze religiose, morali e spirituali più diverse, con misericordia e saggezza, sapendo all’occorrenza fare utili richiami e correzioni. In tal modo sorge una circolarità tra l’andare e il venire, che costituisce il vero e completo meccanismo o moto dell’evangelizzazione.

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